giovedì 28 ottobre 2010

MURIALDI - Riassunto 2° parte

Direttamente da studenti.it

IL RITORNO DELLA LIBERTA’ (fine seconda guerra mondiale - primi anni 50)
  1. Dal Regno del Sud alla liberazione del Nord
Il ritorno della libertà per la stampa e per la radio è condizionato da:
  • l’andamento della guerra lungo la penisola
  • le difficoltà materiali causate dalle distruzioni belliche (particolarmente gravi nel Sud)
  • le clausole dell’armistizio (che vengono attenuate gradualmente)
All’inizio si tratta di una condizione di libertà vigilata, con marcate limitazioni all’attività politica. Per la stampa e la radio tutto dipende dal Governo militare alleato (angloamericano) che agisce attraverso il Pwb creato:
  • sia per la propaganda
  • sia per pilotare il ritorno alla libertà di stampa nei territori via via liberati dai tedeschi
L’organo del Pwb:
  • rilascia le autorizzazioni necessarie per stampare i giornali e li controlla
  • provvede al funzionamento delle stazioni radio
  • gestisce il flusso delle informazioni, selezionate fra quelle delle grandi agenzie (Reuters, Associated Press, United Press, International News Service)
Inoltre sulle notizie belliche c’è la censura dei comandi militari. I primi fogli promossi dal Pwb e compilati da giornalisti italiani escono in Sicilia e Calabria subito dopo la ritirata delle truppe tedesche. Sono di piccolo formato, 2 facciate in tutto e vengono stampati con mezzi di fortuna, ma vanno a ruba perché l’attesa della gente è grandissima. Poi, col passare dei mesi, molti scompaiono. Il più noto è Sicilia liberata. Quasi tutta la prima pagina è occupata da un 'pastone' sulla guerra, cioè da un resoconto che raggruppa notizie e commenti sull’andamento dei combattimenti. I quotidiani più importanti e più diffusi del Regno del Sud sono quelli che escono a Bari e a Napoli:
BARI: Gazzetta del Mezzogiorno (non sospende mai le pubblicazioni, è un caso unico)
NAPOLI: il Pwb non consente, anche per le pressioni di esponenti dell’antifascismo, la ricomparsa dei vecchi
quotidiani compromessi (Il Mattino e il Roma) Il Risorgimento (un foglio solo, di piccolo formato)
Nei primi mesi, quando l’attività dei partiti che stanno faticosamente ricostruendosi è limitata dai divieti alleati, i giornali sono i terreni e gli strumenti della lotta e delle manovre politiche. La questione monarchia/repubblica domina i dibattiti contrapponendo i partiti del rinnovamento a quelli moderati e ai vecchi gruppi di potere. I circoli monarchici esercitano un palese controllo sulla Gazzetta del Mezzogiorno, mentre Il Risorgimento è più aperto alle voci dell’antifascismo, diventando il foglio più diffuso del Regno del Sud. Aspetti diversi assume l’attività di informazione e di intervento politico svolta dalle stazioni radio più efficienti del Regno del Sud (Bari, Napoli, Cagliari). L’impegno maggiore dei notiziari e delle rubriche è il sostegno alla lotta di liberazione e la partecipazione alla 'guerra delle onde' contro le emittenti organizzate dai fascisti di Salò e dai tedeschi. Una delle trasmissioni più efficaci è Italia combatte. In queste radio, agli ordini dei responsabili del Pwb, lavorano scrittori giornalisti e operatori dell’Eiar (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) e non pochi giovani. Pur nei limiti imposti dagli Alleati, si comincia a praticare un modo diverso di fare i giornali radio e i programmi di intrattenimento, meno inamidato e retorico. La stretta armistiziale viene allentata all’inizio del 1944: gli Alleati trasferiscono al governo di Brindisi alcuni poteri, tra i quali quello delle autorizzazioni per la stampa, e si aboliscono alcune norme fasciste, ma soltanto le più stridenti. La situazione politica cambia per la clamorosa svolta impressa da Togliatti alla strategia del Pci (Partito Comunista Italiano): collaborazione col governo del re in nome della lotta di liberazione e 'costruzione del partito nuovo'. Nasce il governo Badoglio di unità antifascista. Compaiono gli organi dei partiti, ma con periodicità settimanale. I primi quotidiani di partito escono a Napoli e sono:
  • La Voce (socialcomunista)
  • Il Giornale (liberale)
  • Il Domani d’Italia (democristiano)
A Roma la scena giornalistica si presenta subito molto diversa. Tutti i partiti usciti dalla lotta clandestina pubblicano i propri organi (2 pagine ma in formato grande): sono l’Avanti!, l’Unità, Il Popolo, L’Italia libera, il Risorgimento liberale, Ricostruzione, La Voce Repubblicana. Il quotidiano promosso dal Pwb si chiama Corriere di Roma. Ma gli alleati non sono disposti a veder uscire, accanto al proprio quotidiano, soltanto gli organi dei partiti. I motivi del mutato atteggiamento degli Alleati sono politici e si riassumono nel sopravanzare delle forze di sinistra che nel Nord guidano la guerra partigiana e i Comitati di liberazione nazionale. Alle forze del rinnovamento, di impronta laica, si contrappone con sempre maggior determinazione la Chiesa. Agli accesi contrasti fra i fautori della repubblica e i difensori di casa Savoia, si aggiungono ora quelli suscitati dal problema dell’epurazione (= rimuovere da un ufficio le persone ritenute indegne moralmente o politicamente), particolarmente sentito in una città nella quale i ceti medi sono praticamente rappresentati da funzionari e impiegati pubblici. Il foglio che sfrutta con la massima spregiudicatezza i timori del ceto impiegatizio è il settimanale L’Uomo qualunque: in difesa di questa categoria si crea un giornale di impronta reazionaria, aggressivo contro tutti partiti, pieno di espressioni colorite e di insulti, che va ricordato perché dal suo strepitoso successo nascerà un movimento politico che avrà un peso non del tutto secondario per qualche anno. Nel governo di Ivanoe Bonomi, succeduto a Badoglio, le forze moderate frenano la revisione delle norme fasciste sulla stampa ed esercitano una certa influenza sui giornali e sulla radio attraverso il sottosegretariato per la stampa e le informazioni della presidenza del Consiglio, istituito al posto del ministero della Cultura Popolare. Questo sottosegretariato suscita la diffidenza della rinata Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi). L’organismo sindacale dei giornalisti italiani si sta faticosamente riorganizzando. La diffidenza iniziale verso il sottosegretariato diventa vera e propria opposizione e la Fnsi ne otterrà più tardi l’abolizione. La Fnsi è contraria anche alla rinuncia all’Albo dei giornalisti istituito dal fascismo e, quindi, con un decreto del 1944 viene istituita la Commissione unica 'per la tenuta degli Albi professionali dei giornalisti e la disciplina degli iscritti'. Sull’assetto da dare alla radio non ci sono contrasti fra i partiti. Tutti sono favorevoli alla continuità del sistema della concessione statale e alla formazione di un nuovo ente pubblico monopolistico, la Rai (Radio Audizioni Italia), costituito il 26 ottobre 1944. Questa soluzione consente al governo di intervenire sui programmi radiofonici. Infatti, il sistema di garanzia e di controllo previsto non impedirà, come i fatti dimostreranno, inopportuni interventi mirati a limitare o annullare la libertà di informazione. Un altro problema importante per l’informazione è quello di un’agenzia nazionale di notizie: con l’approvazione degli Alleati gli editori dei giornali fondano, in forma di cooperativa, l’Ansa. Se il pullulare dei giornali a Roma è anche l’indice dei forti contrasti tra i partiti, a Firenze il Cln (Comitato di Liberazione Nazionale) toscano dà prova di grande compattezza. Riesce ad imporre agli Alleati una gestione più aperta di Radio Firenze e a dar vita ad un quotidiano comune a tutti i partiti: La Nazione del Popolo. Intanto a Milano e nelle altre città del Nord, sedi di quotidiani importanti, nelle riunioni clandestine si discute del futuro della stampa:
  • c’è chi vorrebbe cancellare per sempre le testate compromesse col fascismo e con il nazismo
  • c’è chi sostiene che nel nuovo Stato democratico dovranno esserci soltanto i giornali di partito
Gli Alleati, dal canto loro, fanno sapere ai responsabili del Cln Alta Italia di considerare necessaria, nelle città maggiori, anche l’uscita di un quotidiano indipendente. Ma il Comitato stampa stabilisce che, accanto ai giornali del Pwb, escano soltanto:
  • gli organi dei partiti
  • i fogli cattolici non compromessi
  • i quotidiani promossi dai Comitati di liberazione
Così avviene in tutte le città appena liberate. A Milano compare per primo l’organo azionista, L’Italia libera, seguito dall’Unità, dall’Avanti! e dagli organi degli altri partiti. Compare anche il quotidiano del Pwb che si intitola Giornale lombardo; il formato di questo foglio è il tabloid a 4 pagine, mentre tutti gli altri quotidiani preferiscono le 2 pagine di formato grande. Anche a Torino, Genova e Venezia i partiti più organizzati pubblicano i propri giornali, mentre in tutte le altre città escono quotidiani promossi dai Cln. A compilare i fogli di partito provvedono gli stessi attivisti che li facevano nella clandestinità, aiutati per la parte tecnica da qualche giornalista di mestiere o dagli stessi tipografi. Nelle redazioni dei quotidiani del Pwb lavorano invece molti professionisti. Questi giornali si distinguono da quelli di partito perché sono fatti soprattutto di notizie e, nonostante lo scarso spazio, di fotografie riguardanti anche la cronaca varia e 'nera', richiami irresistibili dopo 20 anni di stampa guidata dal dittatore. Vanno tutti a ruba. Così, nelle città del Nord, si rinnova il successo dei giornali di partito e dei foglio dei Comitati di liberazione. Ma si tratta di una stagione che dura poco.
  1. I giornali nelle prime battaglie politiche del dopoguerra
Le richieste degli Alleati perché compaiano anche i quotidiani 'indipendenti' sono immediate e pressanti. I capi del governo militare alleato dicono che:
  • non fanno questioni di testata (ma, in realtà, preferirebbero quelle tradizionali)
  • direttori e redattori vanno scelti fra i giornalisti che non hanno avuto connivenze con il fascismo e il nazismo
  • le aziende editrici devono essere gestite da commissari scelti dal Cln (in attesa che un governo italiano investito di legittimi poteri decida in merito)
In effetti, con la fine della guerra, non appare più giustificato condizionare la libertà. Il riapparire della libertà si deve concretizzare immediatamente sul terreno politico e su quello dell’informazione, mentre ci vorrà del tempo prima che gli italiani possano votare per scegliere il tipo di ordinamenti democratici e prima che siano elaborate la promessa Costituzione e una nuova legge sulla stampa. Non può sorprendere che la presenza di giornali che sono stati al servizio di Mussolini e di Hitler sia considerato da molti un fatto intollerabile. A Milano nasce il Corriere d’Informazione, giornale indipendente, ma, allo stesso tempo, ispirato alle direttive del Comitato di liberazione, i cui giornalisti sono antifascisti o non compromessi politicamente. Il Corriere trova subito molti lettori; all’inizio ne porta via soprattutto al Giornale lombardo che allora sceglie di uscire nel pomeriggio, adottando il formato grande al quale sono abituati lettori tradizionalisti come gli italiani. A Torino, invece, il governatore alleato procede senza trattare con il Comitato di liberazione piemontese: chiude il Corriere del Piemonte del Pwb; esce La Stampa, già presente nel 1943. Il Cln protesta, il governatore risponde sospendendo tutti i quotidiani che escono a Torino e finisce per avere partita vinta: riprendono le pubblicazioni. Esce la Gazzetta d’Italia, nuovo titolo della Gazzetta del Popolo. Torino ha dato l’unico segno di opposizione popolare alla restaurazione delle vecchie testate compromesse col fascismo. Di giornali ne escono molti nella seconda metà del 1945.
  • sono tutti ancora a 2 pagine perché la carta è scarsa
  • anche al Nord si ricorre alla borsa sera, ma possono farlo i giornali con più mezzi e meno improvvisati
  • la distribuzione raggiunge al massimo i confini della regione a causa delle difficoltà di viabilità e di trasporto
Nei maggiori centri del Nord hanno ripreso a funzionare anche le stazioni radio, ma senza interconnessione fra loro per la distruzione di buona parte degli impianti. Le redazioni dei giornali radio sono poste sotto la sovrintendenza del Pwb. Un nuovo mutamento della mappa dei quotidiani avviene con la cessione di alcune testate del Pwb che sono importanti perché vari giornali, molto ben radicati nelle rispettive zone, sono ancora in quarantena (es: Il Resto del Carlino, Il Secolo XIX, La Nazione, Il Messaggero, il Giornale d’Italia). A Roma i quotidiani più diffusi sono Il Tempo e Il Giornale del Mattino (che ha preso il posto del giornale del Pwb). Alcune testate del Pwb vengono offerte in regalo ai giornalisti che ci lavorano, ma le occasioni di fare in cooperativa dei giornali già affermati non vengono colte dai destinatari di queste offerte. A Venezia esce Il Nuovo Gazzettino sotto la tutela del Cln. Una situazione del tutto particolare è quella di Trieste: dopo la drammatica occupazione dei partigiani, il Governo alleato consente l’uscita della Voce libera, interprete dell’italianità, è del Corriere di Trieste. Dal punto di vista giornalistico le maggiori novità del Nord, in questi primi mesi di libertà, sono rappresentate dai quotidiani del pomeriggio. A Milano ne escono 3:
  1. il Corriere lombardo (è il più vivace, per la titolazione che sfrutta in maniera sensazionalistica le notizie di 'nera' e i processi, e per le fotografie, audaci per quei tempi)
  2. l’edizione pomeridiana del Corriere d’Informazione
  3. Milano sera
Con questa iniziativa, e con un’analoga presa a Roma, le sinistre cercano di contrastare il dominio dei giornali 'borghesi' del pomeriggio. A Torino, invece, il ritorno di giornali pomeridiani d’informazione avverrà dal 1946, con Gazzetta Sera e Il Giornale di Torino. La questione della gestione e della proprietà della Stampa è ancora in sospeso per il procedimento di epurazione cui è sottoposto il capo della Fiat. Circolano inoltre con successo 2 quotidiani sportivi:
  • la Gazzetta dello Sport (Milano)
  • il Corriere dello Sport (Roma)
Nel settore dei settimanali Milano riprende il suo vecchio ruolo di capitale. L’editore Rizzoli ottiene l’autorizzazione a pubblicare Oggi, diretto da Edilio Rusconi; ha 16 pagine formato tabloid. Esce L’Europeo, diretto da Arrigo Benedetti, il giornalista che aveva fatto l’esperienza di Omnibus. Infine esce Tempo, il settimanale dei fototesti di attualità, inizialmente della Mondadori. Fra i 3 spicca L’Europeo per:
  • il formato 'lenzuolo' (formato di grandi dimensioni)
  • la cura della grafica e delle immagini
  • i contenuti
  • la linea liberaldemocratica
  • lo stile cronachistico adottato per raccontare la politica
  • gli articoli di costume e quelli d’inchiesta
che fanno di questo settimanale un modello nuovo per il giornalismo italiano. Ma di questi tempi le tirature dei settimanali milanesi di attualità, tra i quali ci sono 2 testate di antica tradizione, la Domenica del Corriere e L’Illustrazione italiana, sono limitate. Il decollo dei settimanali avverrà non appena si chiuderà la fase più ardua del dopoguerra; maggiore diffusione la ottengono rapidamente la Domenica, i rotocalchi di fotoromanzi e quelli femminili.
    1. L’epurazione e i processi
Nel settore giornalistico, dove l’impegno di carattere etico ha, o dovrebbe avere, un grande peso e la notorietà personale esercita sovente un’influenza particolare, l’epurazione procede in modi confusi come negli altri settori; ma presenta anche difficoltà oggettive nel definire ed individuare giuridicamente tipi e gradi di responsabilità. Alcuni direttori del periodo di Salò sono sottoposti a processi fra il 1945 ed il 1946. Tutti i condannati tornano alla libertà (e al giornalismo) con l’ampia grazia che porta il nome di Togliatti, ministro di Grazia e Giustizia dell’epoca, il cui intento è di avviare la pacificazione tra gli italiani. A favore della grazie si era pronunciata anche la Federazione della stampa, la quale considera necessario escludere dalla partecipazione alla campagna elettorale soltanto quei giornalisti che si fossero macchiati di veri e propri crimini. Tuttavia:
  • le considerazioni di natura politica
  • le solidarietà di corporazione
  • le amicizie
  • il bisogno di avere nelle redazioni giornalisti pratici del mestiere
  • la concorrenza editoriale e politica che si accende in questo periodo fra i quotidiani
fanno sì che, nel corso del 1946, quasi tutti i giornalisti che avevano lavorato anche nel periodo dell’occupazione tedesca e di Salò, tornino nelle redazioni. Riprende la ricerca delle 'firme' di maggior prestigio o più note al tempo del fascismo e a tale ricerca non si sottraggono, per motivi di concorrenza, neppure i quotidiani 'fiancheggiatori' delle sinistre. Per tutti questi motivi e per l’esiguità numerica delle redazioni sono pochi i giovani che entrano nei giornali d’informazione. I giovani sono invece numerosi nelle redazioni degli organi di partito.
    1. Il referendum repubblica-monarchia
Il passaggio dei poteri dal Governo militare alleato a quello italiano nelle regioni del Nord, che avviene il 1° gennaio 1946, segna la fine della tutela del Pwb anche sulla radio. Nello stesso anno è indetto il referendum repubblica-monarchia accoppiato all’elezione dell’Assemblea Costituente. Siamo quindi arrivati ai primi grandi confronti politici che, logicamente, coinvolgono i mezzi dell’informazione. La riorganizzazione della Rai e la ricostruzione degli impianti sta procedendo rapidamente e il pubblico mostra un rinnovata attenzione per la radio. L’assunzione dei poteri su tutto il territorio nazionale mette il governo in grado di esercitare un controllo diretto sul monopolio pubblico. Anche in questo momento storico le sinistre sottovalutano l’importanza della radio nella vita politica e sociale: comunisti e socialisti non si battono con la decisione necessaria per il decentramento della Rai e ripongono nel previsto organo parlamentare di vigilanza una fiducia che si rivelerà eccessiva. Il mondo politico non ha occhi che per i giornali, considerati strumenti primari del fare politica. Nel campo della stampa, si accentua la supremazia dei quotidiani d’informazione rispetto a quelli di partito e questo per 3 principali motivi:
  1. per il notiziario più ricco e più vario (assicurato dalle grandi agenzie americane, dalla France Presse e della Reuter, che hanno impiantato uffici in Italia, e dalla stessa Ansa)
  2. con il ritorno dei vecchi proprietari nelle imprese editrici dei maggiori quotidiani queste testate si stanno arricchendo di servizi attraverso i corrispondenti dall’estero e gli inviati speciali
  3. la possibilità meno rara di uscire a 4 pagine consente di riprendere la tradizione tutta italica della terza pagina
Prima del referendum ricompaiono altre vecchie testate: i ritorni più vistosi sono quelli del Messaggero e del Giornale d’Italia. In complesso, nella prima metà del 1946, il numero dei quotidiani è molto elevato. Questa cifra resterà un primato eccezionale perché alcune testate escono soltanto nel periodo pre-elettorale e altre, soprattutto quelle di partito, stanno avviandosi alla fine. Alla vigilia del referendum e dell’elezione dell’Assemblea costituente appare quindi molto rafforzato lo schieramento giornalistico del centro e della destra, del quale fanno parte i fogli cattolici. Inoltre, anche a Milano da alcuni mesi esce un quotidiano di intonazione reazionaria, Il Mattino d’Italia, più conosciuto per le polemiche e gli scontri che provoca che per la sua diffusione. Appare già inferiore per diffusione lo schieramento giornalistico dei partiti di sinistra nonostante i grandi sforzi che sta compiendo il Pci. Il partito comunista può contare sulle 4 edizioni dell’Unità e sull’ampliamento della rete dei quotidiani fiancheggiatori, la quale comprende 7 quotidiani (sotto il profilo della qualità giornalistica emerge Milano sera). Tuttavia, fino al voto, i quotidiani d’informazione hanno ancora un buon grado di autonomia rispetto alle vedute dei proprietari che stanno riprendendo il possesso delle rispettive aziende. Questa condizione va a vantaggio della scelta repubblicana. La repubblica vince mentre la Dc (Democrazia Cristiana) si rivela il primo partito dell’Assemblea Costituente. Frequenti sono gli interventi della Chiesa sulla libertà di stampa perché, in nome della morale, tale libertà sia nettamente delimitata dalle leggi.
  1. La Costituzione e la legge sulla stampa
Il lungo dibattito che deve sfociare nell’approvazione della Costituzione dell’Italia repubblicana prende avvio in un clima reso più teso ed ambiguo dalle pressioni conservatrici della Chiesa e da una collaborazione al governo tra democristiani, socialisti e comunisti che appare sempre più strumentale. Comunque l’accordo sostanziale tra i 3 grandi partiti di massa sull’indispensabilità di dare al paese la Costituzione porta ad un esito complessivamente positivo. Sulla libertà di espressione i punti di maggior contrasto sono il sequestro e l’accertamento delle fonti di finanziamento della stampa.
  1. sequestro:
    • A FAVORE: partiti di sinistra (che temono la risorgente pubblicistica fascista)
democristiani (che vogliono contrastare ogni forma di immoralità e tutelare in particolare la moralità dei giornali per l’infanzia e per i ragazzi)
democristiani e comunisti concordi sui limiti da imporre alla stampa pornografica
  • CONTRO: gli altri settori dell’Assemblea (che, pur non insensibili al problema, temono che attraverso queste misure si arrivi a limitare la libertà di espressione)
  1. accertamento delle fonti di finanziamento della stampa:
la richiesta viene avanzata dalle SINISTRE, l’opposizione della maggioranza dei DEMOCRISTIANI e dei LIBERALI è netta di fronte a questa marcata divergenza prevale la soluzione più blanda: 'la legge PUO’ stabilire controlli' e non 'la legge STABILISCE controlli'
Viene effettuato il voto definitivo sull’articolo 21; le norme sul sequestro suscitano vivaci reazioni e sono in molti a chiedere che, attraverso la nuova legge sulla stampa, si correggano queste norme. Tutti i partiti considerano necessario ed urgente il varo di una legge organica per superare le contraddizioni e le storture determinate dalla sopravvivenza di molte norme fasciste. Il Governo presieduto da De Gasperi elabora un progetto che viene discusso dall’Assemblea soltanto nel gennaio del 1948. La traduzione in norme concrete e organiche si rivela difficile. Ormai la Costituzione è entrata in vigore dal 1° gennaio e i partiti stanno già pensando alle non lontane elezioni per il primo Parlamento dell’Italia repubblicana. In Italia si rompe la coabitazione fra democristiani, comunisti e socialisti. Così all’Assemblea prevale la scelta di provvedere alle norme più urgenti e di rimandare al futuro Parlamento il compito di varare una legge organica sulla stampa. Di importante la legge-stralcio 8 febbraio 1948, n. 47, contiene e seguenti punti:
  1. per pubblicare un giornale è sufficiente la procedura formale della 'registrazione'
  2. è confermata la figura del direttore responsabile, sul quale gravano responsabilità molto estese
  3. il direttore e l’editore non possono essere cittadini stranieri
  4. si stabilisce il diritto di rettifica
  5. le pene per il reato di diffamazione sono aggravate
  6. si instaurano norme severe per le 'pubblicazioni destinate all’infanzia o all’adolescenza' e per quelle a 'contenuto raccapricciante o impressionante'
  7. si riconoscono i 'giornali murali' sottoponendoli alle stesse norme dei periodici
Restano le perplessità sull’obbligo dell’iscrizione all’Albo dei giornalisti che può costituire un limite al diritto di tutti ad esprimere il proprio pensiero. La Commissione unica corre ai ripari con l’istituzione di un ruolo provvisorio che consente a tutti di cominciare a dirigere un giornale facendo il praticantato nelle vesti di direttore. I dibattiti sull’articolo 21 e sulla legge-stralcio dimostrano che la grande maggioranza della classe politica e di quella giornalistica non ha compreso, o non vuole comprendere, che in un regime liberalcapitalistico la condizione migliore per il giornalismo è assicurata da un ordinamento autenticamente liberale con alcuni correttivi di carattere sociale. Questi correttivi devono:
    • garantire l’esercizio più ampio possibile della libertà di stampa
    • garantire la trasparenza dei finanziamenti dei giornali
    • impedire le concentrazioni
In breve, devono essere diretti a rispettare i diritti dei cittadini. Inoltre questi dibattiti denotano una diffusa incomprensione nella classe politica dei problemi insiti in un moderno sistema della comunicazioni di massa. Il fatto che all’Assemblea costituente nessuno abbia sollevato la questione della radio la dice lunga. Nello stesso anno in cui entrano in vigore la Costituzione e la legge-stralcio sulla stampa, l’Onu approva la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che enuncia non soltanto il principio della libertà di espressione, ma anche il diritto di tutti all’informare.
      1. Un giornalismo schierato
La crescente tensione internazionale ed interna coinvolge in modi molto stretti i mezzi dell’informazione della neonata repubblica italiana. Il culmine è la campagna per le elezioni politiche del 1948. Lo scontro fra
Democrazia cristiana e Fronte democratico popolare (socialisti e comunisti)
diventa in pratica un referendum tra 2 mondi opposti. Nascono periodici e quotidiani che durano lo spazio della campagna elettorale. I volantini, gli opuscoli e i manifesti si contano a milioni; i comizi a migliaia. La propaganda assume toni apocalittici ed è condotta senza esclusione di colpi e finisce per inquinare l’informazione. Tutti i quotidiani d’informazione sostengono De Gasperi e la Dc; la stampa cattolica, naturalmente, è ancor più battagliera. Oltre che sui propri organi ufficiali, che però si rivolgono a lettori che hanno già compiuto la propria scelta, il Fronte fa assegnamento sui fogli 'fiancheggiatori' per allargare l’alleanza di sinistra. Alcuni moltiplicano le proprie edizioni, ma ne escono anche di nuovi. Fra questi ultimi, l’unico destinato a durare a lungo è Il Paese, quotidiano del mattino fondato a Roma. Su posizioni avverse al Fronte, ma anche critiche verso il tentativo egemonico democristiano ci sono soltanto i giornali del partito socialdemocratico, nato dalla scissione socialista, e l’organo del partito repubblicano. Ma la diffusione delle 2 edizioni de L’Umanità e delle altre testate di questo schieramento politico non è certo elevata. Molto flebile è la voce dell’unico quotidiano dichiaratamente monarchico, L’Italia Nuova, anch’esso vicino alla chiusura. Il movimento dell’Uomo qualunque ha perduto l’impeto degli anni precedenti. Sulla scena politica ora ci sono anche i neofascisti del Msi (Movimento Socialista Italiano), ma senza appoggi giornalistici di qualche peso. La radio è ormai uno strumento del governo. La maggiore discriminazione dei giornali radio e dei notiziari dell’Ansa consiste nel dare notevole spazio ai comizi del presidente del Consiglio e dei ministri più importanti rispetto a quello dato ai leader del Fronte. Dopo la clamorosa vittoria elettorale, la Dc da un lato, la Confindustria, altre organizzazioni padronali e gruppi di imprenditori dall’altro, estendono il loro potere o la loro influenza sui mezzi di comunicazione con simili operazioni sotto il segno del moderatismo. A Napoli la ricomparsa del Mattino segna la fine del Risorgimento; il foglio più diffuso di tutto il Veneto è Il Gazzettino, a Bologna l’antica testata de il Resto del Carlino ricompare nelle edicole. Dal canto suo, la Confindustria riesce ad acquistare i 2 quotidiani economici che escono a Milano, il vecchio Sole e 24 Ore, in seguito rileva a Roma Il Globo, detenendo così tutti i quotidiani specializzati nell’informazione economica e finanziaria. Inoltre, entra nelle proprietà confindustriali anche Il Giornale d’Italia. Infine, per contribuire al sostegno dei quotidiani locali di proprietà industriale, la Confindustria organizza l’Agenzia giornali associati (Aga). L’agenzia fornisce gratuitamente agli associati le corrispondenze politiche, il notiziario economico e sindacale ed un notevole numero di articoli. Nello stesso periodo il Governo ha stretto i propri rapporti con l’Ansa attraverso l’erogazione di sovvenzioni annuali fornite dalla presidenza in cambio dei servizi che l’agenzia dà alle istituzioni governative. In questo modo l’Ansa riesce a superare le proprie difficoltà finanziarie e a stipulare accordi con le grandi agenzie straniere (United Press, Reuters, France Presse) che hanno deciso di ritirarsi dal mercato italiano. Diventando 'l’agenzia di bandiera' l’Ansa è costretta ad una maggiore ufficiosità. Negli anni del centrismo, dunque, la polarizzazione dei giornali in 2 schieramenti contrapposti si consolida attraverso queste operazioni ed è alimentata dai grandi eventi che si susseguono sulla scena internazionale (blocco di Berlino, vittoria di Mao, guerra di Corea) e dalle forti tensioni interne, politiche e sociali (gli scontri fra polizia e dimostranti, le reazioni all’attentato contro Togliatti che sfociano nella scissione sindacale, l’accesa battaglia parlamentare per l’adesione dell’Italia al patto atlantico).
  1. L’immobilismo dei quotidiani e il decollo del settimanali
Dalla metà del 1949 i quotidiani escono a 6 pagine più volte alla settimana; le 8/10 pagine arrivano dopo la guerra di Corea, che determina difficoltà nel commercio delle materie prime necessarie per fabbricare la carta. 6 pagine non sono molte, anche perché sta tornando la pubblicità, ma sono sufficienti per ridare una certa consistenza al quotidiano. La formula dei quotidiani d’informazione del mattino è ancora quella 'omnibus', cioè per tutti, ma con prevalenza di argomenti politici e culturali diretti ad un pubblico colto ed interessato alla politico.
  • gli articoli di fondo sono lunghi e spesso carichi di citazioni
  • i commenti economici e finanziari sono affidati a docenti universitari che spesso sono anche consulenti di grandi imprese
  • accanto ai 'fondi', in prima pagina c’è posto soltanto per le note e i 'pastoni' di politica interna e per una o 2 corrispondenze dall’estero
  • anche per la 'terza' si nota un legame forte con la tradizione: l’elzeviro o un racconto in apertura, una corrispondenza di viaggio di spalla, una divagazione spesso erudita di taglio
  • persino la pagina di cronaca cittadina dei maggiori quotidiani, pur ricca di notizie varie e di 'nera', appare piuttosto paludata
  • per il mondo dello spettacolo l’attenzione è ancora scarsa al di fuori delle canoniche critiche di teatro e dell’opera lirica; le critiche cinematografiche, nonostante l’affluenza nelle sale sia aumentato, hanno spazio molto limitato
  • funziona la vecchia graduatoria dei generi; l’unico settore popolare coltivato anche dai più seriosi quotidiani del mattino è lo sport, calcio e ciclismo in testa
Considerata l’omogeneità politica, la concorrenza tra i grandi quotidiani continua a basarsi soprattutto sulle 'firme' degli inviati, dei corrispondenti e dei collaboratori. Sono le 'firme' a ridare lustro ai quotidiani nazionale e vigore alle vecchie preferenze dei lettori tradizionali. Al Nord sono di nuovo in gara il Corriere e La Stampa. Tra i 2 antichi rivali rispuntano alcune differenze che sembrano rinnovare i contrasti di linea politica fra Albertini (Corriere) e Frassati (Stampa). Questo fatto dipende da:
  1. gli atteggiamenti dei proprietari: conservatori i Crespi (Corriere)
aperto alla socialdemocrazia il capo della Fiat (Stampa)
  1. dal temperamento dei 2 direttori: Missiroli (Corriere) è un campione della cautela e dell’ufficiosità; al più diffuso quotidiano si addice l’aggettivo 'pantofolaio'; ciò non toglie che venda molto anche tra i ceti che politicamente la pensano diversamente
De Benedetti (Stampa) non ha paura delle notizie, anzi, nei limiti consentiti dagli interessi della Fiat, le sfrutta con il suo notevole mestiere
Inoltre La Stampa si richiama ai valori dell’antifascismo e della lotta di liberazione, cosa che il Corriere e molti altri quotidiani d’informazione non fanno più. Riprendono le loro antiche posizioni dominanti anche i vecchi quotidiani interregionali e regionali (es: Gazzettino, Secolo XIX, Carlino, Nazione, Mattino, Giornale di Sicilia, La Gazzetta del Mezzogiorno; unica testata nuova in questo campo è La Sicilia). Dotati di una discreta qualità giornalistica nelle pagine nazionali, questi quotidiani hanno come punto di forza le pagine provinciali. Le fanno anche Il Messaggero, Il Tempo e la Gazzetta del Popolo, ma non il Corriere e neppure La Stampa. Sotto il profilo giornalistico, le uniche novità della stampa quotidiana continuano ad essere rappresentate dai giornali del pomeriggio e della sera. Il modello preferito è France soir e non il giornale popolare all’inglese il cui esempio tipico è il tabloid Daily Mirror:
  • titolazione sensazionalistica sia per i grossi fatti politici sia per la cronaca nera e per i processi più seguiti dal pubblico
  • molte informazioni curiose di varietà e di spettacolo
  • resoconti di avventure, interviste frequenti e qualche scoop
  • grandi telefoto sugli avvenimenti che emozionano e molte fotografie di dive
  • fumetti e giochi enigmistici
Fa eccezione il Corriere d’Informazione che, essendo il fratello minore del serioso Corriere e diretto dallo stesso giornalista, mantiene un’impostazione più sobria. Le ultime novità sono La Notte (Milano) e Paese sera (edizione pomeridiana del romano Paese). La Notte ha un avvio stentato, ma riesce poi a farsi largo fra i concorrenti grazie a:
  • i quotidiani commenti del direttore, di scelte conservatrici e a volte reazionarie, ma giornalista chiaro e vigoroso
  • lo sport
  • una trovata nuova: una pagina intera di guida agli spettacoli, con un succinto riassunto della trama dei film e le pagelli con i voti del critico e le preferenze del pubblico
Anche Paese sera stenta a conquistare lettori: ci riesce soprattutto con la cronaca nera e giudiziaria e con le polemiche contro la cattiva amministrazione dei democristiani al comune di Roma. In complesso, è chiaro che la scelta che guida gli editori dei quotidiani d’informazione che contano è l’immobilismo. Alla cautela politica corrisponde la cautela imprenditoriale:
  • investimenti limitati al minimo indispensabile
  • preferenza per il prezzo amministrato, concordato con il governo, in cambio dei contributi sul prezzo della carta erogati attraverso l’Ente nazionale cellulosa e carta, sopravvissuto al fascismo che lo aveva istituito
  • nessuna iniziativa promozionale
Questo invece sarebbe il momento adatto per tentare nuove strade, per differenziare il mercato della stampa quotidiana e forse tentare di inserire nella mappa dei quotidiani una testata popolare, capace di portare i non lettori a leggere un quotidiano. Ma gli editori dei quotidiani preferiscono il mercato politico invece di quello editoriale. Si accontentano dei rispettivi guadagni che in certi casi derivano unicamente dalle vendite e dagli introiti pubblicitari e in altri casi dipendono soprattutto dalle sovvenzioni che ricevono in cambio di favori politici. Note negative per i quotidiani di partito, fatta eccezione per l’organo del Pci. I giornalisti che lavorano nelle 4 edizioni dell’Unità cercano di fare un giornale che corrisponda a tutte le richieste dei lettori (con toni settari in campo politico e culturale): terza pagina, cronaca cittadina, sport. Al sostegno finanziario dei propri giornali il Pci riesce a far fronte anche per il successo della sottoscrizione annuale e delle Feste dell’Unità. Tuttavia, i bilanci chiudono in rosso persino nei giornali fiancheggiatori più diffusi (Milano sera chiude). Va però ricordato che sulla gestione della stampa comunista pesa l’handicap della limitata pubblicità per le scelte discriminatorie di tanti inserzionisti. Gli altri fogli di partito superstiti hanno basse tirature. Dal 1952 anche il Movimento sociale ha un proprio organo, Il Secolo d’Italia. I caratteri della testata sono gli stessi del mussoliniano Popolo d’Italia. Così il coro aggressivo dei settimanali neofascisti ha un capofila, ma la diffusione del Secolo d’Italia resta molto circoscritta, specialmente al Nord. All’immobilismo che caratterizza l’editoria quotidiana, al quale si accompagna una diffusa docilità della categoria giornalistica, fa riscontro il crescente dinamismo dei settimanali in rotocalco. Anche per quelli che si dedicano all’attualità, alla politica e alla cultura si può parlare, dal 1950 in poi, di un vero e proprio fenomeno. Ai settimanali nati o ricomparsi subito dopo la fine della guerra se ne aggiungono di nuovi: Epoca, lanciata da Mondadori e diretta dal figlio, riprende con moderni impianti americani la lezione di Life e dei suoi straordinari fototesti. L’Europeo è il settimanale di migliore qualità e non conformista. Le ragioni di tanto favore sono molteplici:
  1. soddisfano sia il desiderio di 'favole moderne' sia l’aspirazione ad un’esistenza di benessere (con storie riguardanti famiglie reali, miliardari, divi del cinema, con rievocazioni di personaggi e di eventi del recente passato, con speculazioni sulla fede)
  2. si occupano anche di cose di cui la gente parla volentieri e che i quotidiani trascurano
  3. il loro linguaggio è più immediato, più aderente alla realtà sociale persino quando si occupano di politica, di quello dei quotidiani
  4. in vari casi sono molto intraprendenti
In conclusione, all’inizio degli anni 50 i maggiori quotidiani 'indipendenti' sono tornati su posizioni dominanti, socialmente e come diffusione, senza però conquistare quella credibilità che soltanto un’informazione non conformista può dare. Né il Corriere della sera né gli altri quotidiani di qualità hanno l’autorevolezza che viene riconosciuta al Times, al New York Times e a Le Monde. Mente i rotocalchi dell’industria dell’attualità appaiono, sotto il profilo della tecnica giornalistica, più moderni ed efficaci dei quotidiani.

AVVENTO DELLA TV E CAMBIAMENTI NELLA STAMPA (inizio anni 50 - anni 70)
  1. Stampa in allarme
Dopo il 1953 lo scenario internazionale comincia a cambiare: fra i 2 blocchi contrapposti si delinea il miglioramento dei rapporti mentre si consolida la realtà del 'Terzo mondo'. Sul piano interno:
  • la sconfitta della coalizione centrista nelle elezioni politiche segna la fine dell’era di De Gasperi; il centrismo entra in crisi, ma il cammino verso il centrosinistra sarà lento e tortuoso
  • l’Italia si avvia verso una forte e squilibrata espansione industriale e commerciale che alimenta una tumultuosa ondata migratoria dal Sud al Nord, dalle campagne alle città e alle zone dell’industrializzazione
  • nonostante tutti questi sommovimenti i mezzi dell’informazione restano a lungo legati alla logica degli schieramenti contrapposti; neppure l’avvento ed il rapido trionfo della televisione modificano questa condizione preminente dei mass media, che viene incrinata soltanto dalla comparsa de Il Giorno
  • tutti i quotidiani 'indipendenti' e i settimanali di attualità sono favorevoli al nuovo meccanismo elettorale che le opposizioni battezzano 'legge truffa'
  • nella lunga campagna elettorale gli eccessi prodotti da un giornalismo schierato balzano agli occhi e la stessa discriminazione avviene nei giornali radio
  • a surriscaldare il clima contribuisce un grosso problema aperto dalla seconda guerra mondiale: la questione di Trieste e dell’Istria; nel 1954 gli angloamericani procedono alla spartizione di questo territorio fra l’amministrazione italiana e quella jugoslava; ricompare a Trieste Il Piccolo, tradizionale sostenitore dell’italianità di quelle terre
In un simile contesto, negli alti gradi della magistratura emerge una volontà repressiva nei riguardi della stampa: nel biennio 1953-54 aumentano notevolmente le incriminazioni per vilipendio. Il ritardo con cui si sta procedendo all’istituzione della Corte costituzionale (l’organo che può decidere se le leggi corrispondono alle disposizioni della Costituzione) favorisce questa tendenza alla repressione e i tentativi di far prevalere vecchie norme in contrasto con la Carta costituzionale e non ancora abrogate. Nelle polemiche giornalistiche, che spesso arrivano a toni parossistici, spuntano anche i falsi documenti. Avviene poi un episodio che richiama l’attenzione anche di esponenti politici su un problema fondamentale per la libertà di stampa: i rapporti fra editori e direttori. L’episodio è la rottura, avvenuta per motivi politici e editoriali, fra Arrigo Benedetti, direttore dell’Europeo, e Angelo Rizzoli, proprietario da poco anche di questo settimanale di intonazione liberaldemocratica. Benedetti fonda quindi un nuovo settimanale, L’Espresso. Maggior finanziatore dell’impresa è Adriano Olivetti, l’industriale più aperto alle cose nuove che conti l’Italia. L’Espresso esce a Roma dal 1955; Benedetti è rimasto fedele al formato grande; 16 pagine. Accanto a Benedetti si ritrovano vecchi e nuovi collaboratori. Il più importante è Scalfari, il quale ha scelto di entrare a tempo pieno nell’attività editoriale oltre che nel giornalismo. In quest’epoca nasce, dalla scissione liberale, il partito radicale. Le vistose parzialità e omissioni dell’informazione inducono Il Mondo a lanciare un appello per la libertà di stampa che si concreta in una dichiarazione firmata da oltre mille uomini di cultura e in un convegno intitolato Stampa in allarme che si svolge a Roma nel 1958. Emergono alcune proposte dirette a rendere più facili:
  • la moltiplicazione delle imprese giornalistiche
  • il riconoscimento dei finanziamenti
  • l’accertamento da parte dei lettori della verità delle notizie pubblicate dai giornali
Fra i molti punti dolenti per la libertà di stampa c’è quello della responsabilità penale del direttore. In base al Codice penale la responsabilità del direttore è oggettiva, mentre la Costituzione dice che la responsabilità è personale. Dopo un dibattito lungo e contrastato si arriva ad un compromesso: la nuova norma distingue meglio la responsabilità del direttore da quella dell’autore di uno scritto e stabilisce che il primo è 'punito a titolo di colpa se un reato è commesso'.
  1. Spunta Il Giorno
Il Giorno compare a Milano dal 1956 ed è il quotidiano che rappresenta un atto di rottura con le formule tradizionali. 3 sono le circostanze che ne hanno determinato la nascita:
  1. l’intraprendenza di Gaetano Baldacci (inviato speciale del Corriere della sera)
  2. la necessità che Enrico Mattei, presidente dell’Eni, sente da tempo di poter disporre di un proprio strumento giornalistico
  3. il desiderio che anima l’editore Cino Del Duca, re della presse du cœur francese, di ritornare in Italia con un’iniziativa di prestigio
Dalla combinazione di questi 3 fattori nasce un quotidiano di battaglia politica e, nello stesso tempo, radicalmente nuovo sotto il profilo editoriale e giornalistico che sfida, sul suo terreno privilegiato, Milano, l’egemonia del Corrierone. In politica Il Giorno:
  • punta alla collaborazione fra democristiani e socialisti
  • difende l’intervento pubblico nell’economia in contrapposizione al conservatorismo e allo strapotere della Confindustria
  • sostiene la politica della distensione e le aspirazioni all’indipendenza dei paesi del Terzo mondo
Le novità editoriali e giornalistiche sono notevoli rispetto al modello di quotidiano d’informazione imperante in Italia:
  1. esce con un inserto quotidiano in rotocalco che nella fase di lancio è di 8 pagine
  2. si presenta con un’impaginazione molto vivace (il modello è il londinese Daily Express); ha una prima pagine a vetrina, cioè con molti titoli e notizie anche di varietà; al posto dell’articolo di fondo c’è una breve 'Situazione' nella quale Baldacci riesce ad esprimere un particolare talento
  3. la tradizionale terza pagina è abolita: gli articoli di intrattenimento culturale vanno nell’inserto in rotocalco, completato da quella che è la novità più ardita per un foglio del mattino: una pagina intera di fumetti e giochi
  4. si contraddistingue inoltre per la frequenza delle inchieste e per il vigore impresso alle notizie, per le rubriche personalizzate e per l’attenzione dedicata al mondo del cinema, della televisione e dello sport
  5. è il primo quotidiano d’informazione che pubblica una pagine di economia e finanza
  6. completa l’ambizioso progetto editoriale di un quotidiano che esce in continuazione un’edizione del pomeriggio
L’intento è di reclutare da un lato lettori di idee progressiste e, dall’altro, coloro che non leggono quotidiani o li leggono raramente mentre invece consumano molti rotocalchi: in primo luogo le donne. All’inizio la risposta del mercato è limitata, ma superiore a quella ottenuta da quei giornali che avevano vanamente cercato di affermarsi nel capoluogo lombardo. I costi superano largamente i ricavi, anche perché Il Giorno raccoglie poca pubblicità per la sua dichiarata contrapposizione alla politica dell’industria privata. Presto si deve rinunciare all’edizione del pomeriggio e in seguito avviene la rottura fra Mattei e Del Duca. Mattei si assume tutto l’onere dell’impresa e, nonostante i ripetuti attacchi che in molti gli riservano, riesce a restare nell’ombra. Questo fatto consente a Baldacci e ai suoi collaboratori di operare con molta spregiudicatezza e con un robusto sostegno finanziario. Nel 1959 Il Giorno si colloca così tra i maggiori quotidiani nazionali, dopo il Corriere della sera e La Stampa. L’ultimo fatto di rilievo nella seconda metà degli anni 50 è la crisi di duplice natura, politica e finanziaria, che colpisce i giornali del Pci. Diversi giornalisti lasciano Paese e Paese sera; una limitata emorragia si verifica anche nelle redazioni dell’Unità; viene soppresso Il Nuovo Corriere di Firenze. Il gruppo dei fiancheggiatori conta ormai solo 3 testate: i 2 Paese di Roma e L’Ora di Palermo. Nello stesso anno, la sottoscrizione popolare per l’organo comunista subisce un forte calo. Questa, in sintesi, è la situazione contraddittoria e complessivamente fragile della stampa quotidiana nel momento in cui anche in Italia comincia a brillare l’astro delle comunicazioni di massa: la televisione.
  1. Il Telegiornale di massa
Ultimata rapidamente la ricostruzione degli impianti, la radio aveva avuto un nuovo boom. Siccome la radio si ascolta quasi esclusivamente in casa, il Giornale radio della sera rappresenta il più forte strumento di informazione. Ma i Giornali radio del monopolio pubblico sono tuttora avvolti nell’ufficiosità e nel moralismo bacchettone; le 'dirette', in genere, sono riservate a eventi di costume e le inchieste sono rare e partono quasi sempre quando un problema assume una rilevanza ufficiale. Le trasmissioni sperimentali del Telegiornale e di telecronache in diretta cominciano nel 1952. Le scelte degli argomenti sono sintomatiche: per le telecronache l’inaugurazione della Fiera di Milano e la benedizione Urbi et Orbi impartita da Pio XII; nel primo Tg sperimentale (10 settembre) c’è posto per la regata storica di Venezia, i funerali del conte Sforza, gli aspetti curiosi della campagna elettorale americana, una corrida in Portogallo ed il Gran Premio di Monza. L’inizio ufficiale delle trasmissioni avviene il 3 gennaio 1954. Per un biennio il controllo della Dc sulla Rai è marcato da una forte influenza dell’Azione cattolica. Il Consiglio di amministrazione provvede presto alla 'tutela morale' dei cittadini emanando nel 1953 un codice di autodisciplina da seguire sia nelle trasmissioni di varietà sia in quelle informative. Ma è chiaro come queste norme si prestano ad essere utilizzate, nelle mani di attenti funzionari, come strumenti di censura praticamente illimitati. Il Telegiornale va in onda alle 20.30, viene letto da speakers ed è replicato tale e quale nella tarda serata. Il primo direttore è Vittorio Veltroni. Al termine del 1954 la popolazione che può captare il segnale non è molta, gli abbonati alla Tv sono pochi e la televisione ha ancora un prezzo elevato. Ma, ben presto, con lo strepitoso successo del quiz 'Lascia o raddoppia?', presentato da Mike Buongiorno, lanciato nel 1955, e la progressiva estensione dei ripetitori si arriva, attraverso i locali pubblici e i ritrovi, allo spettacolo di massa. In un biennio si realizza anche l’informazione di massa perché il Telegiornale, nonostante tutti i condizionamenti, è fin dall’inizio una delle trasmissioni più seguite. È un Telegiornale che trasmette cerimonie di ogni genere, che è parziale e fazioso in politica, privo o quasi di notizie di cronaca e su vicende giudiziarie, ma entra in molte case dove non è mai entrato un quotidiano. Anche gli argomenti delle prime telecronache sono in genere cerimonie ufficiali. Soltanto all’inizio del 1958 comincia una serie di dibattiti su questioni di attualità, mentre bisogna aspettare il 1960 per veder nascere Tribuna elettorale e in seguito Tribuna politica. Con queste conferenze stampa compaiono per la prima volta sui teleschermi i leader delle opposizioni. Contemporaneamente però vengono inseriti nel Telegiornale dei commenti politici affidati a giornalisti di fiducia. Quando entra in funzione la seconda rete televisiva (novembre 1961) il Tg resta prerogativa della prima rete in base a quei criteri di controllo accentrato che hanno da sempre contraddistinto la gestione dell’informazione radiofonica e televisiva. Il Tg diventa una breve stagione più vivace quando il nuovo e abile direttore generale della Rai, Ettore Bernabei, chiama Enzo Biagi a dirigerlo. Biagi, che possiede un forte senso del pubblico, toglie dal Tg una porzione di noiose cerimonie ufficiali e di omaggi ai ministri in carica. Ma non riesce a rinnovarlo come vorrebbe e, dopo meno di un anno, preferisce ritornare alla carta stampata. La breve esperienza di Biagi dimostra che i condizionamenti non provengono soltanto dall’esterno e dai capi della Rai: in parte emergono dal corpo redazionale perché i meccanismi del reclutamento sono caratterizzati spesso da scelte politiche e clientelari. L’azienda Rai sta diventando una colossale macchina che produce spettacolo e informazione e una potenza finanziaria. Nel palinsesto, dove nel 1957 viene inserita la pubblicità del Carosello, entra nel 1962 il primo 'rotocalco televisivo', quindicinale, seguito l’anno dopo da TV7. Le inchieste sono ancora rare e gli argomenti trattati non sono mai scottanti. Nel complesso, nella prima fase dell’era televisiva i condizionamenti e i limiti quantitativi (il Tg delle 13.30 comincerà nel 1968) lasciano ai quotidiani un largo spazio informativo e di intervento; e sui settimanali di attualità la concorrenza del nuovo mezzo di fa sentire poco. Tuttavia, sia pure con lentezza, nasce anche in Italia un nuovo tipo di giornalismo, con esigenze professionali e tecniche diverse da quello radiofonico. Queste esigenze derivano dal mezzo stesso (la 'diretta' ne è la massima espressione, ma ce ne sono altre) e dalle sue straordinarie potenzialità. All’inizio è molto diffusa la convinzione che la Tv abbia effetti politici immediati, per esempio sulle scelte elettorali; ma i fatti dimostreranno invece che l’influenza più sensibile del medium elettronico è di lunga durata e profonda perché incide sull’evoluzione della vita sociale, delle mentalità e dei gusti della gente. Inoltre la televisione produce e sviluppa la causa prima dell’informazione-spettacolo e della politica-spettacolo. Nel frattempo i progressi delle tecnologie si rivelano strabilianti. Il primo collegamento via satellite fra gli Stati Uniti e l’Italia avviene nel 1962. Con i satelliti si apre l’era della comunicazione interplanetaria. Eventi eccezionali possono essere visti da milioni e milioni di telespettatori nel momento in cui avvengono e rivisti ancora nei telegiornali. Il momento più grandioso e sbalorditivo è la 'diretta' sulla discesa dell’uomo sulla Luna, che gli italiani vedono nelle prime ore del 21 luglio 1969.
  1. I quotidiani a una svolta
Con l’avvento della radio, la stampa aveva già perduto il monopolio dell’informazione primaria che aveva esercitato nel corso di 3 secoli. Ora si trova di fronte ad un mezzo che attira milioni di persone e che spesso fa vedere gli eventi e i protagonisti. Il giornalismo stampato è diventato complementare di quello radiofonico e televisivo. È urgente e indispensabile battere nuove strade, valorizzare le altre funzioni del quotidiano:
  • quelle della spiegazione e dell’interpretazione dell’attualità per i quotidiani di qualità
  • quella delle informazioni locali per i minori
I più colpiti sono i quotidiani della sera. Per i periodici di attualità, la prima conseguenza del trionfo della televisione è la drastica riduzione del ruolo svolto finora dalle fotografie. Mentre l’editoria giornalistica e i giornalisti della carta stampata devono affrontare questa difficile svolta, nei paesi in cui i giornali sono prodotti dell’industria editoriale in regime di concorrenza si manifestano marcati segni di crisi determinati soprattutto, per i quotidiani, da un crescente divario fra i costi di produzione e i ricavi delle vendite e della pubblicità. Numerosi quotidiani di Londra e delle grandi città americane sono costretti a chiudere o entrano in crisi. C’è però un’eccezione a questa tendenza ed è il Giappone, dove la stampa quotidiana ha compiuto, nel dopoguerra, i progressi più considerevoli rispetto a tutti gli altri paesi. Da questo paese viene la dimostrazione di quanto la rivoluzione tecnologica possa contribuire alla sopravvivenza economica della stampa nell’era dell’informazione elettronica. I quotidiani più forti e ricchi entrano tuttavia in una fase di relativa espansione per 2 fattori concomitanti:
  1. l’aumento del numero delle pagine e dei servizi e lo svecchiamento della formula
  2. le tensioni e le aspettative suscitate dall’evoluzione della situazione politica sul piano internazionale e su quello interno
Queste novità tuttavia non inducono i giornali a rivedere i modi con cui si occupano di politica interna. La politicizzazione interessata resta una caratteristica deteriore dei quotidiani d’informazione. In Italia, nel 1960 il travaglio politico è intenso e sfocia in una grave crisi. Il moderato Montanelli scrive sull’Europeo: 'In Italia la libertà c’è: quella che non c’è è l’abitudine ad usarla. La maggior parte dei giornalisti, quando compongono un articolo, lo fanno interrogando la censura. Quale? Quella che hanno in corpo da secoli e di cui non riescono più a farne a meno'. Superata la crisi, la via è aperta per il centrosinistra. L’intesa fra la Dc e i socialisti crea forti contrasti di interessi, ma anche aspettative sulla nazionalizzazione delle imprese elettriche. In un giornalismo molto politicizzato com’è quello italiano si formano 2 schieramenti:
tutti i fogli moderati e conservatori, VS i fogli favorevoli, Il Giorno, Il Mondo
Corriere della sera in testa, contrari L’Espresso e gli organi dei partiti di sinistra
Il nuovo direttore de Il Giorno, Italo Pietra, imprime alla linea del giornale, sostenitore deciso del centrosinistra, maggiore coerenza e chiarezza. Inoltre Il Giorno ora cerca una più consistente affermazione attraverso il miglioramento della qualità, della ricchezza e della diversificazione dei contenuti:
  • entrano nell’équipe inviati, commentatori e collaboratori di grande competenza
  • molti scrittori innovatori collaborano al giornale
  • viene sviluppato il settore culturale (come aveva già fatto Paese sera)
  • ai 3 settimanali (per i ragazzi, per le lettrici e il domenicale) se ne aggiungono altri 2 dedicati alla televisione e al mondo dei motori
  • avvia edizioni locali per la Lombardia e la provincia di Milano (che si riveleranno un punto di forza per il giornale dell’Eni)
In generale, Il Giorno si presenta come un quotidiano in parte di qualità e in parte popolare. La tiratura aumenta di molto, ma aumenta anche il deficit. E quando Mattei progetta di stampare Il Giorno anche a Roma, gli editori dei maggiori quotidiani protestano per l’invadenza e il dumping (vendita sottocosto). Queste proteste e poi la drammatica scomparsa di Mattei bloccano l’ambizioso piano. Le iniziative editoriali dell’Eni, che nel frattempo ha acquisito il controllo dell’Agenzia Italia, erano dirette a contrastare il rilancio del Corriere della sera, principale avversario dell’industria pubblica, e a prevenire la comparsa del nuovo quotidiano di Rizzoli. I Crespi si sono decisi infatti a dare al Corriere un nuovo direttore; non è più possibile sottovalutare la presenza del Giorno, l’ascesa della Stampa e il progetto di Rizzoli, come continuava a fare Missiroli. La scelta cade su Alfio Russo, il quale imbocca l’unica strada possibile per avere successo: lo svecchiamento del Corrierone:
  • rinnova la cronaca cittadina, lo sport e gli spettacoli
  • apre una rubrica della posta dei lettori (neppure il grande Albertini lo aveva mai fatto)
  • valorizza inviati speciali più moderni
Sul piano politico, invece, il nuovo direttore non solo assume la parte dell’alfiere contro la nazionalizzazione elettrica, ma si mostra sostanzialmente chiuso anche di fronte alla versione moderata del centrosinistra che la Dc riesce ad imporre ai socialisti a metà del 1964. Lo svecchiamento giova al Corriere: la tiratura aumenta e si allontanano i timori suscitati dalla crescita della Stampa e del Giorno. Alla Stampa, De Benedetti ha perfezionato la sua formula 'centauro' che ha reso parecchio in prestigio e in diffusione:
  • metà giornale, la parte politica e culturale, è di qualità e di respiro nazionale
  • l’altra metà è caratterizzata dalla cronaca varia e nera e talvolta piccante e da un’accentuata 'piemontesità'
A Torino è in costante declino la Gazzetta del Popolo, ora gestita direttamente dalla Dc. Un notevole risveglio caratterizza anche il giornalismo cattolico: nel 1968 comparirà Avvenire, che per qualche tempo riaccenderà le attese dei cattolici più avanzati. In campo comunista 2 novità maturano nel 1962:
  1. la trasformazione in settimanale del mensile Rinascita
  2. un nuovo rilancio dell’Unità, la cui formula è stata ridisegnata in senso più giornalistico; tuttavia, per motivi di risparmio, la ristrutturazione comporta la soppressione di molte pagine regionali e provinciali
Fallisce invece il tentativo del Pci di avere un foglio fiancheggiatore a Milano: Stasera chiude dopo meno di un anno. In generale, la situazione economica della stampa quotidiana diventa pesante. Le forti spese per arricchire i quotidiani, gli investimenti per nuovi stabilimenti e macchinari e i miglioramenti economici ottenuti da giornalisti e poligrafici con i rinnovi dei contratti determinano una sensibile crescita dei costi, compensata soltanto parzialmente dall’aumento delle vendite e degli introiti pubblicitari. L’aumento delle vendite riguarda i giornali più forti: Corriere della sera, Stampa e Il Giorno. Nel 1966 si accentua la crisi che in breve tempo ha causato la chiusura di 7 testate quotidiane (2 assai note, Il Sole e il Corriere Lombardo) e di 4 settimanali. In quest’ultimo settore la perdita più grave è rappresentata dalla chiusura de Il Mondo. Va bene, invece, l’ultimo nato dei settimanali di attualità e varietà, che è Gente, fondato nel 1957 da Edilio Rusconi dopo il suo distacco da Rizzoli.

  1. Le prime concentrazioni
Accanto alle fusioni di testate quotidiane appartenenti allo stesso proprietario, si profilano le prime concentrazioni:
  • una la realizza l’imprenditore petrolifero e zuccheriere Attilio Monti, acquistando nel 1966
il Resto del Carlino hanno una posizione dominante nell’Emilia-Romagna e in Toscana;
La Nazione pubblicano un’edizione della sera
lo sportivo Stadio
il Giornale d’Italia
Il Telegrafo di Livorno
  • la seconda è opera dell’imprenditore chimico Nino Rovelli il quale compera nel 1967
La Nuova Sardegna di Sassari così tutta l’informazione stampata in
L’Unione sarda di Cagliari Sardegna è nelle sue mani
L’aspetto politico delle 2 operazioni è evidente: i giornali servono agli imprenditori che li detengono per proteggere e assecondare le proprie iniziative, ma rappresentano anche una merce di scambio. La catena Monti suscita qualche reazione allarmata: su questo caso si svolge un dibattito al Senato, ma il governo afferma che non esistono i presupposti per introdurre in Italia una normativa antitrust. Anche nella categoria giornalistica le reazioni sono blande: i giornalisti professionisti e pubblicisti hanno ottenuto l’istituzione dell’Ordine professionale con una legge del 1963. Questo tipo di inquadramento di spirito corporativo è anomalo rispetto alla condizione del giornalismo esistente in Paesi di lunga tradizione liberale nei quali esistono soltanto organismi di natura sindacale. L’Ordine serve, unitamente al contratto nazionale, ad eliminare non poche situazioni di lavoro nero; ma crea una specie di circuito chiuso perché l’esercizio della professione è riservato agli iscritti all’Ordine stesso. La Federazione della stampa appare più preoccupata della scomparsa delle testate, perché comporta rischi di disoccupazione, che delle concentrazioni e delle manovre finanziarie attorno ai giornali. Più proficue per nuovi orientamenti professionali sono, nella fase che precede l’ondata della contestazione giovanile e operaia, le prese di posizione di alcuni giornalisti e di alcuni studiosi dei mass media di denuncia dell’autoritarismo che governa il lavoro redazionale, soffocando l’autonomia professionale, e della scarsa credibilità della stampa. Vengono in superficie propositi ed inquietudini che trovano una prima risposta nei mutamenti direzionali che, nel biennio 1968-69, riguardano 5 quotidiani di grande e media importanza: Corriere, Stampa, Resto del Carlino, Gazzettino e Secolo XIX. Sono tutti giornalisti di impronta liberale e allevati alla scuola della moderazione, ma il modo di concepire il giornale ed il lavoro redazionale di alcuni di loro è diverso da quello dei direttori della tradizione editoriale italiana. Nel campo dei settimanali 2 sono le novità salienti della fine degli anni 60:
  1. l’estensione dell’impiego del colore (molto ambito dagli inserzionisti)
  2. la trasformazione di Panorama da mensile in settimanale
La decisione dell’editore Mondadori apre anche in Italia la strada del newsmagazine modello Time e Newsweek. Il primo numero di Panorama settimanale esce nel 1967; a quasi 40 anni dalla creazione dei 2 archetipi americani, la ricetta di rivelerà ancora valida. L’Espresso, diretto da Scalfari, resta ancora fedele al formato 'lenzuolo' e sceglie, come strumenti di sviluppo, un inserto a colori formato tabloid e un inserto grande dedicato all’economia e alla finanza. Il settimanale liberalradicale non vende molto in questo periodo, ma è letto da un pubblico che appartiene alla classe dirigente e quindi è anche un buon veicolo pubblicitario.
  1. Lo sviluppo delle agenzie di stampa
Con l’ampliamento del campo dei mass media crescono il ruolo e l’importanza delle agenzie di stampa che, fin dal loro sorgere, rappresentano una struttura portante della raccolta, dell’elaborazione e della distribuzione delle notizie. Anche ora la rapida ed intensa crescita è consentita dai progressi tecnologici (telescriventi più veloci, reti di collegamento più numerose, nascita dei satelliti e dei computer, trasmissione di radiofoto a colori, ..). Nello stesso tempo, accanto all’esplosione dell’informazione, altri fattori politici e sociali impongono, nelle società rette a sistema democratico, un uso meno strumentale (ricerca del consenso e propaganda) dei prodotti elaborati e veicolati dalle agenzie. Cresce il loro grado di autonomia dal potere politico e da quello economico di fronte alle richieste di completezza dell’informazione e di rispetto del pluralismo politico e culturale che si manifestano nelle società più progredite e libere. Il miglioramento della qualità dei prodotti delle agenzie di stampa è un fatto rilevante per 2 ragioni:
  1. anche i media più ricchi di mezzi sono compilati in buona parte con il materiale offerto da queste vere e proprie macchine dell’informazione
  2. la computerizzazione dei sistemi editoriali consente un impiego più rapido, e soprattutto diretto, nel ciclo produttivo dei notiziari delle agenzie
Sul piano mondiale le agenzie più potenti e diffuse restano:
  • l’Associated Press e l’United Press International (americane)
  • la Tass (sovietica)
  • la Reuters (inglese)
  • l’Agence France Presse (francese)
Anche varie agenzie nazionali, tra le quali l’Ansa, sviluppano una certa attività al di fuori dei confini, indirizzandola verso le zone considerate più interessanti dai rispettivi governi con i quali le agenzie sono legate da apposite convenzioni. In Italia il settore delle agenzie entra in una fase di sviluppo nel corso degli anni 60 e si modernizza nel decennio successivo. L’Ansa rinsalda il proprio primato ed è caratterizzata da uno sviluppo giornalistico ed un calo dell’ufficialità, che ne aveva caratterizzato la produzione; nel contempo, vengono avviati il potenziamento tecnico e un più ampio piano commerciale. Già nel 1971 l’Ansa dispone di 3 reti; inoltre diffonde vari notiziari specializzati, quotidiani o settimanali; ha numerosi uffici all’estero; per i servizi dall’estero può avvalersi dei notiziari e del servizio fotografico dell’Upi (Unione delle Province d’Italia), della France Presse e della Reuters. Con l’istituzione di una quarta rete telescrivente, sulla quale corre un notiziario ridotto, l’Ansa si apre ad un terzo mercato dopo quello dei giornali e delle istituzioni statali: è quello formato da enti e società, di natura pubblica e privata, estranei all’attività editoriale ma sempre più interessati a ricevere un’informazione tempestiva. Dal 1980 l’Ansa dà corso anche a notiziari regionali. Il primato dell’Ansa non è insidiato dalle altre agenzie nazionali (la qualifica dipende dal numero delle testate collegate via telescrivente):
  1. il decollo dell’agenzia Italia, denominata Agi, avviene qualche anno dopo l’acquisto da parte dell’Eni (1964) e si realizza soprattutto con la scelta di sviluppare un’informazione economica e finanziaria e con l’acquisizione dei servizi dell’Associated Press
  2. terza agenzia nazionale è l’Adn Kronos, che comincia ad installare una rete telescrivente nel 1968 e che opera nell’orbita del partito socialista
  3. la quarta è l’Asca (Agenzia Stampa Cattolica Associata) nata nel 1969 e che, per tutti gli anni 70, svolge soprattutto il ruolo di fonte ufficiosa della Democrazia cristiana
  4. infine, dal 1976 è qualificata agenzia nazionale anche l’Aga (Agenzia Giornali Associati) nella cui proprietà c’è la Confindustria; la sua funzione preminente è quella di fornire articoli, servizi politici e resoconti ai giornali associati

STAMPA, RADIO E TV NELL’ITALIA IN FERMENTO (biennio 68/69 - fine anni 70)
  1. Un giornalismo d’attacco
Nel biennio 1968-69
  • la contestazione giovanile
  • la riscossa dei sindacati
  • le bombe di Milano
  • le passioni suscitate dalla guerra del Vietnam
  • la nascita e lo sviluppo del movimento femminista
investono e scuotono anche il mondo dei media. Dal movimento studentesco e dai gruppuscoli della sinistra extraparlamentare nasce una pubblicistica molto aggressiva. Le parole d’ordine di questi fogli, che saranno presto divulgate anche da improvvisate emittenti radiofoniche locali, sono 'abbattere il sistema' e 'controinfomazione'. Tra questi nuovi periodici, quelli destinati ad avere maggiore influenza sono
sul piano agitatorio: Lotta continua sul piano politico-culturale: Quaderni piacentini
Potere operaio il manifesto
Dimostrazioni di studenti e di operai contro la stampa 'borghese' e contro la Rai avvengono in varie città. Le azioni più decise e spettacolari sono dirette contro il Corriere della sera, considerato l’emblema della manipolazione capitalistica dell’informazione. Il fatto che incide di più nel campo giornalistico è la 'strategia della tensione' rivelata dalla strage di Milano del 12 dicembre 1969. A contestare o a mettere in dubbio la matrice anarchica dell’attentato sostenuta dal governo e a denunciare la matrice 'nera' dell’azione sovversiva non sono soltanto i fogli extraparlamentari: intervengono L’Espresso, Panorama, l’Unità, Il Giorno e La Stampa, in contrapposizione al Corriere della sera e a tutte le altre testate. Nasce a Milano e a Roma il 'Movimento dei giornalisti democratici', che partecipa all’attività di controinformazione e contribuisce a determinare, nel 1970, una svolta nella guida del sindacato unitario dei giornalisti. I nuovi dirigenti della Federazione della stampa rivendicano:
  • l’autonomia professionale
  • la completezza dell’informazione
  • un’organizzazione collegiale del lavoro redazionale che dia più potere ai giornalisti
La Fnsi entra attivamente nel fronte riformatore della Rai e sostiene, assieme ai poligrafici, la necessità di affrontare il problema della stampa quotidiana con una legge di riforma. Se la riforma della Rai deve sottrarre il monopolio pubblico radiotelevisivo dalla dipendenza del governo, quella dell’editoria deve assicurare l’esistenza di una larga pluralità di voci attraverso gli aiuti pubblici e una marcata autonomia dei giornali attraverso norme che garantiscano la trasparenza delle proprietà e dei finanziamenti e stabiliscano un argine contro le concentrazioni. All’inizio degli anni 70, in un clima molto acceso, caratterizzato da un lato dalla crisi politica e, dall’altro, dai fermenti che agitano la società civile, tutto il campo dell’informazione si mette in movimento: si apre un decennio tumultuoso e drammatico, nel cui corso mutano sia gli assetti della stampa sia quelli televisivi. La prima e singolare novità è la comparsa dei quotidiani della sinistra extraparlamentare: sono fogli di battaglia politica e ideologica, portabandiera di utopie rivoluzionarie, che si basano soprattutto sul volontarismo di coloro che li fanno e sul sostegno dei militanti.
    1. il primogenito è il manifesto, creato dal gruppo di comunisti che aveva fondato l’omonimo mensile e che è stato radiato dal partito; esce a Roma nel 1971 a 4 pagine e punta ad una diffusione nazionale; ha un’impronta grafica sobria, quasi austera, che ricalca modelli ottocenteschi; non pubblica fotografie ed è volutamente privo di pubblicità; all’inizio le vendite sono brillanti, ma dopo alcuni mesi scendono, abbonamenti compresi; per cui deve rinunciare al prezzo di vendita più basso rispetto agli altri e, più tardi, al presupposto contro la pubblicità; continua a distinguersi come foglio di opinione di qualità anche per coloro che non condividono tutte le idee e le passioni che esprime
    2. il secondo quotidiano di questo filone è Lotta continua, che esce a Roma nel 1972; è un tabloid squillante e aggressivo, con titoli-slogan, vignette e fotografie; è composto di pezzi brevi, scritti seguendo le mode espressive in auge tra i giovani contestatori, cioè in quel linguaggio definito 'sinistrese'; vende e venderà sempre un po’ meno de il manifesto anche quando accentuerà l’attenzione sul 'privato' del mondo giovanile ribelle; cesserà le pubblicazioni nel 1981
    3. dura soltanto 5 anni il terzo esemplare di questo filone, il Quotidiano dei lavoratori, che esce a Milano nel 1974 come espressione del movimento 'Avanguardia operaia'
In generale, si tratta di un fenomeno peculiare del nostro Paese e che ha aspetti politico-giornalistici interessanti. Va tuttavia rilevata la limitata diffusione di questi quotidiani. Le copie vendute sono poche non solo per sopravvivere con un minimo di tranquillità (come dimostra la difficile esistenza de il manifesto), ma anche come risultato politico se si pensa all’ampiezza raggiunta dalle dimostrazioni dell’ultrasinistra e dei lavoratori. Il giornalismo di inchiesta e di denuncia, che prende di mira anche il malgoverno, gli scandali e le arretratezze del sistema sociale, diventa vigoroso anche al di fuori del campo dell’opposizione. Un ruolo di punta simile a quello che da tempo svolge L’Espresso lo assume Panorama, che si inserisce saldamente nel mercato dei settimanali di attualità. L’affermazione definitiva della formula newsmagazine avviene nel 1974, quando L’Espresso la adotta e vede quasi triplicare le proprie vendite. Di fronte a questa duplice avanzata e alla concorrenza della televisione, i settimanali di attualità tradizionali non raggiungono più tirature eccezionali: si difendono con successo Oggi e Gente; cominciano invece ad entrare in fase calante Epoca e la Domenica del Corriere. In questo settore un fatto nuovo è la notevole crescita del settimanale Famiglia cristiana, che si vende solo attraverso le parrocchie e i circoli cattolici: il sacerdote che lo dirige riesce a dare ai contenuti e al linguaggio del periodico delle Edizioni Paoline un’impronta più consona ai mutamenti di mentalità della società italiana. Anche alcuni settimanali femminili traggono vantaggi diffusionali dalla modernità delle idee e dei temi (divorzio e aborto sono le questioni focali), unita alla ricchezza di contenuti legati alle aspirazioni al benessere e alle spinte consumistiche sollecitate dalla pubblicità. Complessivamente, il settore dei rotocalchi va ancora a gonfie vele fino al 1973, l’anno in cui raggiunge il record della copie tirate. Il conformismo resta invece la nota dominante del Telegiornale che nel 1969 Bernabei affida a Willy De Luca, giornalista efficiente e di sicura osservanza governativa.
  1. Il Corriere di Ottone e il carosello delle compravendite
Le maggiori novità degli anni 70 maturano però in altri settori dei media: in quello dei quotidiani d’informazione e di opinione e in quello televisivo. Nella fase di forte instabilità politica e di violente tensioni, che sfoceranno anche nel terrorismo 'diffuso', i media diventano uno dei terreni privilegiati degli scontri per il potere. Nello stesso tempo, sotto le spinte di natura politica e professionale dei giornalisti più intraprendenti, si registra un notevole aumento del grado di indipendenza del giornalismo, ma anche un suo più forte coinvolgimento politico-ideologico. Questi mutamenti tuttavia coincidono con l’aggravarsi della crisi finanziaria dei quotidiani: nel 1975 pochissime testate sono in attivo o in pareggio; chiudono i conti in rosso anche aziende da sempre redditizie, come il Corriere della sera e La Stampa. Gli editori denunciano un deficit globale e chiedono vanamente l’aggiornamento del prezzo di vendita. Il governo vara invece un provvedimento legislativo di soccorso, approvato rapidamente dal Parlamento, che dà ai quotidiani una consistente boccata di ossigeno. Aumentando notevolmente i sostegni pubblici senza un programma di riorganizzazione del settore, si lega la sopravvivenza della stampa quotidiana alle decisioni dei partiti che pesano di più e si inducono gli editori a chiedere sempre più spesso aiuto al Parlamento e al governo. La vera e propria riforma dell’editoria, sostenuta dai sindacati del settore, appare ancora un obiettivo lontano. La crisi, che ha colpito le testate più forti nel 1970-71, è all’origine di una serie di mutamenti proprietari che favoriscono l’intrecciarsi di manovre per il controllo delle testate da parte di potentati economici e della Dc. Dal 1972 il nuovo direttore del Corriere della sera è Pietro Ottone, il quale, nel giro di alcuni mesi, imprime al tradizionale organo della borghesia lombarda una marcata indipendenza. Ottone predica un giornalismo liberal, senza conformismi e senza pregiudizi. In effetti, nei commenti, nei resoconti e nelle inchieste, ora più incisive e spregiudicate, si nota l’abbandono di 2 vecchi presupposti:
    • quello del sostanziale fiancheggiamento della Dc e del governo
    • quello dell’ostilità preconcetta nei riguardi del Pci
Ottone allarga la cerchia dei collaboratori, dà briglia sciolta a giovani inviati, apre il giornale al dibattito sui problemi economici e finanziari. Il nuovo corso del Corriere influenza altri quotidiani importanti, come La Stampa e Il Messaggero. E procura al giornale nuovi lettori di tendenze progressiste, una parte dei quali sta abbandonando Il Giorno, entrato in una fase di involuzione politica e giornalistica. Ma, per l’abile Ottone, forte è anche lo scontento dei lettori tradizionalisti e conservatori: a Milano un gruppo anticomunista, la 'maggioranza silenziosa', promuove campagne contro il Corriere, definito addirittura l’organo del sovversismo nazionale. Comunque le perdite di copie a destra sono inferiori a quelle acquistate a sinistra. Anche all’interno della redazione si levano voci critiche contro le scelte di Ottone: il leader degli scontenti è Montanelli, le cui critiche sono così spinte da provocare, nel 1973, il suo licenziamento. La situazione si complica per la decisione di 2 dei 3 proprietari del Gruppo, spaventati dal deficit, di vendere le proprie quote. È l’occasione attesa da Eugenio Cefis, presidente della Montedison, che è legato al segretario della Dc. Annunciando la decisione di entrare nella carta stampata, Cefis dice che deve farlo per proteggere la Montedison in una fase difficile. In realtà il suo disegno mira a ristabilire una certa normalizzazione in una stampa in fermento, ma non gli è possibile farlo grazie al tempestivo accorrere di Agnelli e del petroliere Angelo Moratti in soccorso alla famiglia Crespi. La tattica scelta da Cefis comprende mosse diverse per arrivare ad una specie di concentrazione invisibile e lottizzata (sovvenziona in modi indiretti la Gazzetta del Popolo, ormai in crisi; procura a Montanelli i soldi necessari per fondare il Giornale nuovo; soccorre altre testate, fra cui anche Paese sera, appartenente al Pci). Di giornali Cefis ne compra uno solo, ma importante, nel 1974, Il Messaggero, e ne affida la direzione a Italo Pietra. Il Messaggero esce da una vicenda clamorosa e turbolenta: per quasi un anno non era più stato il foglio conformista di un tempo e aveva assunto toni estremistici, con una gestione di tipo assembleare. Il 12 maggio 1974 è il giorno del referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio, alla quale si oppongono la maggior parte dei quotidiani e dei settimanali più diffusi e che segna una sonora sconfitta per la Dc ed il mondo cattolico. Poche settimane dopo Cefis riesce ad entrare nel Corriere della sera perché dà ai Rizzoli una mano che gli è indispensabile per comprare il Gruppo di via Solferino e costituire uno dei più grandi conglomerati di carta stampata d’Europa. Ma prima di parlare della vicenda che si rivelerà la più sconcertante e grave di tutta la storia del giornalismo italiano, merita un cenno il destino della Gazzetta del Popolo. Cefis infatti decide di abbandonare l’antico quotidiano torinese e si stabilisce di chiuderlo. Redattori e tipografi si ribellano perché vogliono difendere il proprio lavoro e assicurare a Torino e al Piemonte una voce alternativa alla Stampa. La Gazzetta esce autogestita, la firmano i dirigenti della Federazione della stampa. L’autogestione suscita una vasta solidarietà fra i giornalisti e i poligrafici e dura più di un anno, ma si rivela una soluzione provvisoria perché la Gazzetta del Popolo non è un piccolo quotidiano che può reggersi a lungo su basi cooperativistiche. Così nel 1975 si arriva, attraverso la mediazione del governo, ad un accordo fra la cooperativa dei giornalisti, ora titolare della testata, e l’editore Ludovico Bevilacqua, legato al leader torinese della Dc.
      1. Rizzoli: la concentrazione firmata P2
Quando, nel 1974, l’alleanza Crespi-Agnelli-Moratti va in crisi, Andrea Rizzoli si fa avanti coraggiosamente e compra tutto il Gruppo di via Solferino (con l’ausilio di Cefis). Andrea assume la presidenza del maxigruppo, ma fin dai primi passi si vede che il factotum è il figlio Angelo. I Rizzoli:
        • confermano Ottone alla direzione del Corriere
        • sottoscrivono tutti i patti aziendali
        • promettono ai sindacati una politica di sviluppo
        • si dichiarano favorevoli alle riforma dell’editoria (finora osteggiata dalla grande maggioranza degli editori)
In breve, si presentano come editori 'puri', moderni e aperti. Nel contempo, però, hanno intessuto buoni rapporti con i partiti che contano, compreso il Pci. Queste assicurazioni e controassicurazioni spiegano perché per il Corriere non si facciano le barricate come per il Messaggero e la Gazzetta del Popolo. Scorrendo le pagine del Corriere nei primi tempi rizzoliani non si avvertono sostanziali mutamenti di indirizzo eccetto un atteggiamento più riservato verso la Montedison e gli articoli di 2 nuovi arrivati, Enzo Biagi e Alberto Rochey, che suscitano irritazione e sospetti in quei redattori che credono di poter ancorare saldamente a sinistra il giornale. Il primato diffusionale del Corriere non è intaccato né dalla Stampa né dal Giornale. Il problema vero, fin dall’inizio, è il bisogno di soldi perché la situazione del maxigruppo è pesante e la sua gestione difficile. Rizzoli chiede aiuto a numerosi istituti pubblici, ma riceve solo dei rifiuti. Gli attacchi alla linea Ottone si intensificano ulteriormente e la polemica sulla linea del quotidiano milanese diventa incandescente. Ottone appare impensierito dall’avanzata del Pci, che verrà confermata dalle elezioni politiche del 1976, ed esprime riserve sul progetto berlingueriano del compromesso storico. Decisiva, per il catastrofico futuro del Gruppo, è la scelta dell’espansione editoriale, annunciata nel 1976; la scelta si concretizza:
  • nel potenziamento del Corriere (inizia l’edizione romana)
  • nell’acquisizione di testate
  • nei tentativi di inserirsi nel campo televisivo
  • nel lancio del quotidiano 'popolare'
Per la caccia alle testate non mancano le occasioni, determinate da crisi editoriali e da opportunità politiche. I risultati sono questi:
  • gestione del Mattino e della Gazzetta dello Sport
  • acquisto dell’Alto Adige di Bolzano e del Piccolo di Trieste
La concentrazione suscita molte polemiche; gli scopi e gli effetti politici sono evidenti
i DEMOCRISTIANI non considerano i SOCIALISTI (guidati da Bettino il Pci è preoccupato ma
più il Corriere un giornale cattivo Craxi) si mostrano scontenti e attento
sospettosi
Da editore 'puro' e 'professionale', quale aveva potuto vantarsi di essere, Rizzoli sta diventando un editore 'di servizio'. Il successivo acquisto del Lavoro, compiuto per fare un piacere a Craxi, e alcuni interventi nell’area veneta e trentina diretti a favorire esponenti della Dc, lo confermano. L’impero quindi è basato sui deficit e sugli intrecci politici, 2 fattori sconcertanti che però vengono pericolosamente sottovalutati dai sindacati del settore e da tanti giornalisti. Nel 1977 avviene una prima svolta determinante attraverso un’operazione di ricapitalizzazione: chi ha fornito i soldi?? Si avanzano ipotesi clamorose; con più senso logico si fanno i nomi di Roberto Calvi, boss del Banco Ambrosiano, e del finanziere Umberto Ortolani. Ma i veri protagonisti dell’affare sono Licio Gelli, capo della Loggia segreta P2, e lo Ior (Istituto Opere di Religione). I segreti del Gruppo sono ben protetti dall’intreccio di tanti interessi politici. Da questo momento parte l’ascesa di Bruno Tassan Din a incarichi sempre più importanti di direzione e di controllo del Gruppo. Cominciano a circolare voci che l’arrivo di nuovo denaro comporti l’allontanamento di Ottone; questi, anticipando i disegni dei nuovi e misteriosi controllori del Corriere, si dimette. Il nuovo direttore è Franco Di Bella, le cui doti di mestiere, soprattutto di cronista intraprendente e di organizzatore dinamico, sono note. La sua scelta per il dopo-Ottone appare il segno della definitiva chiusura di un ciclo liberal; alcuni giornalisti di primo piano e vari collaboratori abbandonano il Corriere. Di Bella rende più vivace il foglio milanese che si è arricchito con:
  • l’inserto settimanale sull’economia
  • l’avvio della corrispondenza da Pechino
  • alcune interviste clamorose di Oriana Fallaci
  • alcuni attacchi su problemi esistenziali che fanno parecchio rumore
Inoltre era stata varata un’iniziativa promozionale molto ambiziosa: un supplemento in rotocalco, per il Corriere e gli altri quotidiani del Gruppo, che si vende con il numero del sabato. Ma i risultati, sia di vendita che di raccolta della pubblicità (ad opera della concessionaria pubblica Sipra), sono inferiori alle attese: il grande debito cresce. La diffusione del Corriere però aumenta e la concorrenza del nuovo quotidiano di Scalfari, la Repubblica, e del Giornale nuovo di Montanelli per ora non desta preoccupazioni. Sotto il profilo politico, il Corriere consolida il suo aspetto di giornale antologico, o 'di coalizione', che corrisponde ai nuovi conformismi informativi indotti dal ricorso ai governi di unità nazionale e alle spinte provocate dal terrorismo. Non mancano tuttavia i segnali che l’aria di via Solferino si sta inquinando: il privare d’autorità giornalisti non graditi, varie prese di posizione dettate da interessi non dichiarati, .. Questi fatti creano malessere fra i redattori del Corriere che appaiono sempre più divisi in gruppi e correnti di stampo partitico e incapaci di reagire seriamente al pericoloso intreccio di interessi oscuri e di debiti che caratterizza il Gruppo. Rizzoli e Tassan Din sono sempre alla ricerca di soldi e di relazioni col potere. Li cercano soprattutto sbandierando l’uscita de L’Occhio, il tabloid popolare, a basso prezzo di vendita, che dovrebbe conquistare i non lettori. Lo dirige Maurizio Costanzo, abile animatore di spettacoli televisivi, ma quasi digiuno di carta stampata. L’Occhio esce nel 1979 e si vede subito che è una malfatta imitazione del Daily Mirror. Dopo un certo successo iniziale, il tabloid rizzoliano scende di molto, divorando molto denaro. Il problema dei non lettori esiste da sempre in Italia, ma la realizzazione dell’Occhio non appare adatta ad affrontarlo. E poi l’ora opportuna per tentare un esperimento del genere è passata da un pezzo: da quando è avvenuto il decollo dei rotocalchi (i surrogati dei quotidiani popolari per molti lettori italiani) e la televisione non era ancora comparsa. Un’altra iniziativa temeraria, per i costi e perché va contro le norme in vigore, è la costituzione di una rete televisiva nazionale con un telegiornale diretto dall’infaticabile Costanzo e intitolato Contatto; la magistratura infatti lo blocca. Forti di tanti appoggi politici, Rizzoli e Tassan Din tentano anche di scaricare sul patrimonio pubblico i pesanti costi delle loro operazioni premendo perché la legge per l’editoria, in corso di elaborazione nel 1979, preveda un cospicuo stanziamento cancella-debiti. L’emendamento è:
  • SOSTENUTO da: quasi tutti i partiti, Pci compreso
Rizzoli e altri editori
la stragrande maggioranza dei sindacalisti del settore
  • OSTACOLATO da: i radicali
alcuni editori, tra i quali c’è il nuovo Presidente della Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali)
pochi giornali
il Presidente della Fnsi
L’unica via di salvezza per il Corriere è ancora Calvi, il quale, questa volta, esce allo scoperto anche se le cifre sono da vertigine; Calvi compie l’operazione sperando di assicurarsi una protezione sicura, ma non è così: nel 1981 viene arrestato con l’accusa di esportazione di capitali. Il presidente del Consiglio si decide allora a rendere pubblico l’elenco degli iscritti alla P2 trovato nell’archivio del fuggiasco Gelli e sul quale circolavano molte indiscrezioni. Nell’elenco compaiono 28 giornalisti, 4 editori (uno è Angelo Rizzoli) e 7 dirigenti editoriali tutti del maxigruppo, capitanati da Tassan Din; fra i 28 giornalisti i direttori sono 7: 4 dirigono testate Rizzoli, a cominciare da Di Bella. Lo scandalo è enorme: il Corriere ne è screditato e il calo diffusionale si accentua. Perde inoltre alcune firme: Biagi e Ronchey passano alla Repubblica che sta ormai andando a gonfie vele. Di Bella deve lasciare il giornale, gli succede Alberto Cavallari. Questa operazione sfrutta una certa copertura del Pci sul cui appoggio conta Tassan Din. I socialisti reagiscono dichiarando guerra allo spericolato manager, che è ormai l’arbitro del Gruppo perché è riuscito a farsi intestare gran parte delle azioni. Calvi fugge dall’Italia e muore impiccato a Londra. Rizzoli vuol vendere e gli acquirenti non mancano anche se il Gruppo è disastrato; ma la guerra che si scatena fra i partiti e le opposizioni incrociate bloccano diverse trattative, perlopiù promosse da questo o quel partito. Per sfuggire al baratro vengono:
  • chiusi L’Occhio, il Corriere d’Informazione, i supplementi settimanali e la rete televisiva
  • ceduti Il Piccolo (lo compra Attilio Monti), l’Alto Adige e Il Lavoro
Ma per il salvataggio bisogna ricorrere all’amministrazione controllata che il Tribunale di Milano accorda nel 1982 e che dura 2 anni; Rizzoli e Tassan Din conoscono anche il carcere.
  1. Dal Giornale di Montanelli alla Repubblica di Scalfari
In una situazione dominata da accese tensioni e da notevoli mutamenti sociali come è quella che si sviluppa nel corso degli anni 70, i lettori di quotidiani appaiono più esigenti e più partecipi. Nello stesso tempo:
    • l’intraprendenza e la crescente politicizzazione di molti giornali e giornalisti
    • le tendenze alla spettacolarizzazione della politica e dell’informazione
    • la crisi dei tradizionali canali di comunicazione dei partiti e dei sindacati
danno ai media la possibilità di ampliare il proprio ruolo di creatori di eventi politici, di intermediari e persino di attori dell’azione politica. La nascita del Giornale di Montanelli e della Repubblica di Scalfari, al di là delle contrapposte collocazioni politiche e delle marcate diversità della formula e della veste, va vista in questo contesto. Queste 2 testate segnano un accrescimento della funzione di intervento politico e di orientamento che ha sempre caratterizzato i quotidiani d’informazione; e il loro successo, anche se di diversa misura, modifica la mappa dei quotidiani nazionali.
Per Montanelli il presupposto della sua sfida è che il Corriere della sera ha tradito la propria antica vocazione: il suo giornale sarà quindi in tutto e per tutto 'l’anti-Corriere'. Con una linea moderata e con una formula delle più tradizionali, il Giornale si rivolge ai cittadini che temono che il partito comunista prenda il sopravvento attraverso il compromesso con la Dc in crisi. Montanelli si getta nell’impresa con un’eccezionale vigoria: sono con lui un nutrito gruppo di colleghi che, al suo richiamo, hanno abbandonato via Solferino e giornalisti di diversa provenienza. Viene costituita una società di redattori che è proprietaria della testata e responsabile della gestione dell’impresa. Il Giornale parte con una dotazione fornita dalla concessionaria Spi e garantita dalla Montedison; più tardi tra i finanziatori più impegnati ci saranno la De Agostini e poi Silvio Berlusconi, il re dei network. Il programma editoriale è improntato a cautela: la redazione è esigua e viene scartata l’idea di fare il numero del lunedì, più costoso degli altri. Il Giornale esce nel 1974. L’impostazione e la veste sono classiche, come si vede in particolare dalla prima e dalla terza pagine. Le novità, rispetto alla formula tradizionale del Corrierone, non sono molte:
  • un breve corsivo (commento breve ma incisivo e polemico scritto, generalmente, in carattere corsivo) quotidiano in prima pagina, intitolato Controcorrente
  • l’ampio spazio dato alle lettere del pubblico
  • i necrologi per beneficenza
La tiratura dei primi giorni è alta; il Corriere accusa una significativa perdita, ma entro pochi mesi l’emorragia si riduce e la tiratura del Giornale cala. In via Solferino tirano tutti un respiro di sollievo constatando che il Giornale non ha sfondato né a Milano né in Lombardia, come riconoscerà lo stesso Montanelli. Il Corriere appare irraggiungibile anche quando il Giornale viene potenziato con:
  • nuove firme
  • il numero del lunedì
  • edizioni regionali per la Liguria e l’Emilia
Se il successo editoriale resta circoscritto, ma è pur sempre rispettabile per il mercato italiano, la presenza politica di Montanelli e del suo foglio, è un fatto rilevante. Con il Giornale si inserisce nella mappa dei quotidiani nazionali un foglio di opinione moderata, che interviene più attivamente nelle vicende politiche. Un foglio che è un quasi partito, diretto da un giornalista carismatico.
Questa tendenza e questo aspetto si rafforzano con la comparsa de la Repubblica nel 1976. Il grande successo dell’Espresso consente a Scalfari di progettare il quotidiano sognato da tanti anni. Al progetto di Repubblica si associa la Mondadori, la maggiore casa editrice italiana, propensa anch’essa a entrare nel mercato della stampa quotidiana. La società editrice viene costituita a parità di quote, con una donazione a fondo perduto che consente di pubblicare un quotidiano di qualità, ma non molto costoso. Come socio dell’Espresso, Scalfari è quindi anche azionista del giornale che sta progettando e che naturalmente dirigerà. La sua idea è di fare un quotidiano leggero di pagine e molto diverso da quelli in circolazione, diretto a coloro che seguono la politica, l’economia e il mondo della cultura e dello spettacolo, senza cronaca locale e con pochissimo sport. Un secondo giornale, dunque. Il formato tabloid, finora estraneo alle tradizionali abitudini del lettore italiano, appare coerente con questi propositi. Il mercato da conquistare è prevalentemente costituito dall’area della sinistra, che si è molto ampliata. All’esordio i redattori sono 68 più una grande quantità di giovani volontari; le donne sono più numerose che in altri quotidiani. Le 20 pagine del tabloid sono spartite dal paginone Cultura: prima ci sono la politica interna, la pagina dei commenti e delle lettere al pubblico, quella delle inchieste e la politica internazionale; seguono varie pagine di spettacoli, lo sport (ma non tutti i giorni perché Repubblica non esce il lunedì) e 5 pagine dedicate all’economia e al sindacale. Nell’insieme quindi Repubblica appare un Espresso che esce tutti i giorni. La scelta non è poi tanto azzardata perché i quotidiani hanno ormai perduto la prerogativa di dare per primi le notizie. Proprio nell’anno in cui Repubblica prende il mare, la riforma della Rai porta alla moltiplicazione dei telegiornali e dei giornali radio che, per qualche tempo, si distinguono per vivacità giornalistica. Non sono pochi ormai i lettori che nel quotidiano di qualità cercano soprattutto la spiegazione e l’interpretazione degli eventi e l’illustrazione e la denuncia dei problemi. Per un commentatore chiaro e seducente come Scalfari e per gli altri commentatori di Repubblica è un’occasione eccezionale. E difatti la pagina dei commenti si rivela un punto di forza a mano a mano che si allarga la cerchia dei columnist assidui e quella dei collaboratori occasionali. I commenti e, in parte, le lettere creano un reticolo di interrelazioni politiche che gioverà molto al potere di Repubblica. Tra i commentatori ce n’è uno che interviene tutti i giorni con straordinaria efficacia: Giorgio Forattini, autore della vignetta satirica che è il distintivo della pagina dei commenti e più tardi andrà in prima pagina. Nel primo anno l’esistenza di Repubblica è ancora insicura e incerta appare l’individuazione del nucleo forte dei lettori. Nel corso del 1977 si nota un’attenzione sostanzialmente favorevole per i giovani che gravitano nella nebulosa della sinistra extraparlamentare. Scalfari appare sempre di più un leader che fa politica con il proprio giornale. Si apre un solco fra il partito socialista, saldamente in mano a Craxi, e Scalfari. La tragedia Moro e l’ingresso dei comunisti nella maggioranza di governo fanno affluire verso Repubblica nuovi lettori: i conti dell’azienda sono in pareggio. Adesso:
  • Repubblica esce, come minimo, a 24 pagine
  • la titolazione è più forte e spesso appare un po’ forzata
  • le informazioni non sempre sono accurate nei particolari
ma nel complesso il giornale è brillante, ricco di idee e spesso imprevedibile anche per lettori smaliziati.
  • il numero dei redattori è assai cresciuto
  • ha più servizi dall’estero e dall’interno
  • annovera nuove firme di collaboratori e inviati speciali
  • aumenta la dose di 'settimanalizzazione' varando il primo degli inserti di varietà che si intitola Week end
  • cerca di piantare più larghe radici a Roma e a Milano (e successivamente in altre città) con inserti quotidiani locali che forniscono anche le informazioni di servizio
La crisi che investe il Corriere della sera nel 1981 offre a Scalfari un’occasione straordinaria per raccogliere nuovi lettori. E Scalfari comincia a coglierla assumendo Enzo Biagi e Alberto Ronchey che hanno deciso di abbandonare via Solferino. Questa e altre scelte indicano che il fondatore di Repubblica vuole insediare il giornale anche in aree politiche e culturali meno di sinistra. Anche in questo contesto si può collocare la svolta politica impressa al giornale in vista delle elezioni del 1983. In quella occasione Scalfari riserva un’apertura di credito al segretario della Dc; questo fatto provoca una polemica fra il direttore dell’Unità e Scalfari il quale respinge le accuse di 'tradimento' e rivendica il modello del giornalismo liberal, contrario a 'discriminazioni e favoritismi'. Nello stesso tempo, con la possibilità tecnica di uscire a 40 pagine, è stato ampliato lo spazio destinato ai servizi e alle notizie di cronaca e allo sport. Le capacità di Scalfari e della sua équipe, con l’aiuto dei tempi e dei casi altrui, hanno fatto di Repubblica un quotidiano di prima lettura e di notevole diffusione. E questa condizione comporta l’avvicinamento a quella formula 'omnibus', cioè del giornale per tutti, contrastata a lungo da Scalfari. I risultati non hanno tardato ad arrivare: Repubblica vende più del Corriere in molte regioni e, avendo una diffusione più equilibrata, può proclamarsi un autentico quotidiano nazionale.
  1. La prova del terrorismo
La lunga e sanguinosa ondata del terrorismo, di matrice nera e di matrice rossa, coinvolge direttamente anche i mezzi dell’informazione. I giornalisti si trovano di fronte a problemi imprevisti, a prove difficili e a scelte drammatiche. A partire dal 1977 anche i giornalisti entrano nel mirino dei terroristi rossi. Infine, alla sfida allo Stato si aggiunge quella diretta ai giornali. Nei multiformi e complessi aspetti che assume via via il problema terrorismo-informazione alcuni fatti e alcuni casi critici hanno una notevole rilevanza. Un primo caso nasce dalla strage di Milano del 12 dicembre 1969, con l’aspra contrapposizione fra i sostenitori della colpevolezza degli anarchici e coloro che denunciano la matrice di ordine fascista e gli intenti autoritari di questo e degli altri attentati terroristi.
da una parte sono schierati la Tv, la radio e la dall’altra parte i fogli della nuova sinistra, alcuni
maggior parte dei giornali che seguono e giornali d’informazione e di partito e i settimanali
propagandano la tesi del governo e degli inquirenti di punta che contestano quella tesi e che indagano sulle complicità dei servizi segreti nella 'strategia della tensione'
Un aspetto grave della vicenda è il comportamento delle fonti ufficiali delle informazioni che diffondono versioni precostituite e danno notizie distorte o addirittura false. Questo fatto rende più arduo e rischioso il lavoro di contestazione e di indagine, ma lo rende più meritorio. Nonostante non si sia arrivati ancora oggi a stabilire giudizialmente chi furono gli autori e i mandanti delle stragi (a Milano e a Bologna), nessuno mette più in dubbio la matrice nera e gli intenti autoritari (con sospetti molto seri sui servizi segreti). Diversi sono i casi che riguardano il terrorismo rosso. Di fronte alle prime azioni delle Brigate rosse non si verifica la spinta alla ricerca, all’inchiesta. Nella maggioranza dei media è diffusa la convinzione che si tratti sempre di terrorismo di destra. Coloro che inalberano la bandiera rossa con la stella a 5 punte e diramano volantini sono dei provocatori, magari inconsapevoli. Ma c’è anche chi ha un pregiudizio favorevole verso di loro perché combattono l’autoritarismo, fanno atti di giustizia e aprono la strada alla rivoluzione. Per molto tempo si parla di 'false Brigate rosse'; le convinzioni politiche e ideologiche prevalgono nella valutazione dei fatti e del fenomeno. Questo stato di cose, ovviamente non imputabile soltanto ai giornalisti, comincia a mutare di fronte alla ripresa vigorosa del terrorismo e alla constatazione dell’alone di sostegno e di comprensione che lo circonda. Ma le ricerche sulla sua vera natura e sul suo retroterra politico e sociale restano rare; la condanna è ferma ma generica perché spesso i giornali si limitano a definire 'deliranti' i messaggi del partito armato. Nel 1977 le Brigate rosse cominciano a colpire anche i giornalisti: 3 direttori vengono 'gambizzati' (ferire qualcuno sparandogli alle gambe) a Genova, Milano e Roma; sono:
  1. Vittorio Bruno (Secolo XIX)
  2. Indro Montanelli (Il Giornale)
  3. Emilio Rossi (Tg1)
Gli scopi evidenti delle 3 aggressioni concordate sono quelli di:
    • intimorire il mondo giornalistico
    • accrescere l’effetto di risonanza di cui il terrorismo ha bisogno
In seguito vengono feriti altri 2 giornalisti e successivamente i brigatisti alzano il tiro anche contro questi 'servi dei padroni': a Torino sparano, uccidendolo, a Carlo Casalegno, vice direttore della Stampa, giornalista liberale e coraggioso. Sempre a Torino, 2 anni dopo i terroristi feriscono un altro giornalista. Il terrorismo si scatena di nuovo contro i giornalisti nel 1980: a Milano, la 'Brigata 28 marzo' (formata da giovani che vogliono conquistare un posto nelle Br) ferisce un inviato di Repubblica e in seguito uccide Walter Tobagi, giovane e valente inviato del Corriere della sera. I problemi più complessi sorgono dall’evento cruciale, il sequestro di Aldo Moro, presidente della Dc; e riguardano la responsabilità dei giornalisti in una fase di vera emergenza. Gli interrogativi sono molti: pubblicare tutto o autocensurarsi? Il governo deve intervenire oppure no? Come informare senza fare cassa di risonanza del terrorismo? Trattare o non trattare? La notizia del sequestro Moro e del massacro della sua scorta viene diffusa la mattina del 16 marzo 1978 dalla radio, dalla televisione e dalle edizioni straordinarie di molti quotidiani. I 2 telegiornali danno corso a trasmissioni continuate che contribuiscono a mobilitare i cittadini ma che, con la ripetitività delle immagini e in mancanza di ulteriori notizie, possono alimentare lo smarrimento e il panico che hanno colto un po’ tutti sul primo momento. Il governo non chiede nulla ai giornali; e i giornali, quando Moro viene assassinato, pubblicano tutto. È un sovrapporsi frenetico di voci e di ipotesi, mescolate alle rare notizie certe. D’altra parte, le inchieste ufficiali procedono caoticamente e spesso le voci e le indiscrezioni, a volte interessate, contribuiscono al sensazionalismo dei giornali. Il caso di coscienza che turba i giornalisti di fronte ai proclami e ai messaggi dei terroristi viene discusso da molti giornali e dalla Federazione della stampa. Di fronte alle proposte di black out, prevale la scelta di libertà e di responsabilità per le quali si è battuta la Fnsi: i cittadini hanno diritto di essere informati, però i media devono evitare di fare da cassa di risonanza. Questa scelta è coerente con quella di fare ogni sforzo per non cadere nell’imbarbarimento dello Stato. Il dilemma se trattare o non trattare con le Br per tentare di salvare la vita di Moro divide
il partito socialista insieme all’Avanti!, il manifesto, gli altri partiti della maggioranza di unità nazionale
Lotta continua e Radio radicale, che sono per la e quasi tutti i quotidiani, a cominciare dai più diffusi,
trattativa che si schierano per la fermezza: di fronte al terrorismo non si può restare neutrali, si deve difendere questa democrazia
La polemica è accesissima, anche perché motivazioni umanitarie si intrecciano a motivazioni politiche. La medesima polemica, con toni e accuse ancora più pesanti, si riaccende alla fine del 1980, quando le Br sfidano direttamente i giornali. Per rilasciare il magistrato Giovanni D’Urso, sequestrato a Roma il 12 dicembre, i terroristi chiedono la pubblicazione dei appelli dei loro compagni incarcerati a Trani, dove sono in rivolta, e a Palmi. A decidere non può né deve essere il governo, devono farlo i giornali. Di fronte ad una scelta drammatica, resa più penosa per gli appelli dei familiari del sequestrato, i direttori consultano i redattori e vengono coinvolti anche gli editori. Socialisti e radicali (con a capo Pannella) premono per l’accoglimento della richiesta dei brigatisti. La maggior parte delle testate respinge il ricatto; decidono di pubblicare le dichiarazioni Il Messaggero, Il Secolo XIX, l’Avanti!, il manifesto e Lotta continua. Una situazione particolare si determina nel Gruppo Rizzoli per la decisione del direttore del Corriere della sera e di Tassan Din di adottare il 'completo silenzio stampa': cioè di non dare neppure le notizie riguardanti il terrorismo. Gli altri quotidiani del Gruppo devono seguire la stessa linea. Il direttore del Lavoro di Genova, appellandosi alla propria autonomia, si dimette per protestare contro l’ordine impartito. Il 15 gennaio 1982, subito dopo la pubblicazione dei documenti brigatisti e avendo ottenuto la chiusura del supercarcere dell’Asinara, i terroristi rilasciano il magistrato.
  1. Novità nell’etere
Il panorama radiofonico e televisivo italiano comincia a movimentarsi all’inizio degli anni 70 con:
  • le prime radio locali (già nominate per i loro intenti di 'controinformazione')
  • la nascita di Tv locali via cavo impiantate con mezzi artigianali in città medie e piccole, che trasmettono anche dei notiziari
  • il crescente ascolto delle Tv estere in lingua italiana (Canton Ticino, Montecarlo, Capodistria)
La prima Tv cavo è Telebiella in funzione nel 1971. Nel 1974 comincia a cimentarsi col cavo un giovane imprenditore milanese, Silvio Berlusconi, che diventerà il re incontrastato delle televisioni commerciali. Tutte queste iniziative rappresentano una sfida al monopolio Rai e, difatti, sono frequenti gli interventi della magistratura per bloccarle. Alla campagna per la riforma della Rai, avviata sul finire del decennio 70, si affianca ora una campagna giornalistica per la libertà d’antenna. Inoltre, la nascita di emittenti private o 'libere' comincia a destare l’attenzione dei pubblicitari e degli editori. Una spinta decisiva alla riforma della Rai viene da 2 sentenze della Corte costituzionale del 1974:
  1. una sentenza riconosce il diritto dei privati di 'ripetere' programmi stranieri e indica i criteri generali con cui va riformata la Rai
  2. l’altra sentenza consente a tutti l’uso del cavo per trasmissioni in ambito locale
I criteri della Corte riguardano soprattutto l’attività informativa della Rai, che dev’essere improntata a imparzialità e aperta alla pluralità delle correnti politiche e culturali presenti nella società, anche attraverso il diritto di accesso al mezzo televisivo. La Dc ormai deve cedere, accettando che all’interno del servizio pubblico si instauri la concorrenza fra le reti e fra le testate giornalistiche. La riforma arriva con la legge 103 del 14 aprile 1975 all’insegna del 'pluralismo':
    • il potere di vigilanza e di indirizzo è affidato ad una commissione parlamentare
    • per l’attività informativa le novità salienti sono:
      • l’autonomia riconosciuta alle 2 testate televisive e alle 3 testate radiofoniche, i cui direttori rispondono direttamente al direttore generale dell’azienda
      • i criteri di imparzialità e di completezza dell’informazione cui sono tenuti i giornalisti
    • si prevede inoltre la costituzione di una terza rete televisiva e di un terzo Tg a base regionale
    • viene bloccata l’emittenza via cavo
Nuovo presidente della Rai è il socialista Beniamino Finocchiaro, convinto sostenitore della riforma. Ma la spartizione delle reti e delle testate resta appannaggio quasi esclusivo dei partiti di governo:
    • DC Tg1 (Emilio Rossi) + Gr2 (Gustavo Selva) (restano i più seguiti)
    • SOCIALISTI e LAICI si dividono le altre testate
Tg2 (Andrea Barbato) Gr1 (Sergio Zavoli)
Ai redattori è riconosciuta la possibilità di optare per questa o quella testata: una decisione che risponde al principio di libera scelta, ma che contribuisce a rendere più marcata la coloritura partitica delle diverse redazioni. I telegiornali e i giornali radio riformati vanno in onda il 16 marzo 1976. Sono più lunghi di prima, ma sono vivaci e dedicano una certa attenzione anche ai fatti di cronaca; anche i giornali radio migliorano: nella fascia mattutina che resta il loro dominio, offrono un ampio panorama informativo. I servizi speciali, le inchieste, le rubriche di attualità e le interviste acquistano una dose di spigliatezza che appare notevole rispetto agli impacci di ieri. Alcuni telecronisti conquistano successo e popolarità per capacità professionali e per la disinvoltura con cui usano il mezzo, ma da noi non nasce la figura dell’anchor man (= moderatore) che caratterizza i telegiornali delle grandi reti americane. Poco felici risultano i tentativi di inserire nei Tg e nei Gr dei veri e propri commenti a sé stanti: questi 'fondini' (commento autorevole ad un fatto di notevole importanza collocato quasi sempre in prima pagina) e 'corsivi' appaiono spesso noiosi e in alcuni casi faziosi. La maggioranza del pubblico apprezza questi mutamenti:
  • il Tg1 serale, più ordinato e in un certo senso più istituzionale, conserva un netto primato di audience
  • il Tg2 suscita l’interesse del pubblico più laico e politicamente impegnato
La nuova stagione dell’informazione Rai però dura poco. L’intervento dei maggiori partiti di governo torna a farsi pesante e l’applicazione della riforma diventa terreno di contesa: il risultato è che viene attuata con ritardi, in modi parziali e spesso distorti rispetto agli intenti dei riformatori. Inoltre, nel 1976, si riconosce libertà di antenna nell’ambito locale: in pratica, si apre la strada ad un sistema misto, pubblico e privato, che il Parlamento è chiamato a regolamentare. Le emittenti televisive e radiofoniche cominciano ad aumentare, mentre spariscono le Tv cavo; alcuni editori affiancano ai propri quotidiani una stazione televisiva, altri stringono accordi con le imprese più consistenti per la fornitura di notiziari. Le iniziative più rilevanti per l’impegno finanziario e per il progetto politico e commerciale sono quelle dell’editore Rusconi e di Berlusconi e Rizzoli. L’apporto informativo delle emittenti locali è modesto; soltanto i Tg della Svizzera italiana, di Montecarlo (curato dal Giornale di Montanelli) e di Capodistria raggiungono un audience apprezzabile. La novità politica informativa delle Tv private è rappresentata dalle trasmissioni di propaganda elettorale (spesso a pagamento) per candidati singoli o per i partiti. Maggiore risonanza, in questa fase, accompagna l’attività informativa delle radio politicamente più impegnate. Con la libertà di antenna in un imprecisato ambito locale, la contesa politica per il controllo dei media elettronici si allarga e si complica. Gli interessi di parte e le opposizioni incrociate annullano ogni possibilità di arrivare ad una regolamentazione legislativa del sistema misto. La Rai, che dal 1977 ha dato il via ufficiale alle trasmissioni a colori, inaugura nel 1979 la Terza rete televisiva.
presidente della Rai: Beniamino Finocchiaro Paolo Grassi
Dirigenti e giornalisti appartenenti all’area comunista assumono alcuni incarichi direttivi, ma la posizione del Pci nell’azienda, nonostante il suo accresciuto peso politico, resta subordinata al dominio di diversa portata della Dc e del Psi.
Tg1: Emilio Rossi Albino Longhi
Tg2: Andrea Barbato Ugo Zatterin
Tg3: Biagio Agnes (Dc) e poi Luca Di Schiena (Dc) condirettore: Sandro Curzi (comunista)
Il Tg3 va in onda alle 19, prima degli altri 2. E’ composto di 2 parti: una nazionale, più ampia, e una regionale, compilata dalle redazioni che la Rai ha costituito in ogni regione. Il nuovo telegiornale raggiunge un’audience limitata, sia per gli scarsi mezzi tecnici di cui dispone sia per l’ufficiosità localistica che lo caratterizza. Il settore televisivo comincia a crescere in maniera selvaggia per mancanza di regole.

UNA LEGGE PER LA STAMPA, IL FAR WEST PER LE TV (anni 80)
  1. I prodigi di Berlusconi
All’inizio degli anni 80 nascono le reti televisive commerciali mentre la legge per l’editoria salva molti quotidiani e consente di compiere le indispensabili riorganizzazioni tecnologiche. I primi network (= rete privata) sono Canale5 di Silvio Berlusconi e Prima Rete del Gruppo Rizzoli. Fra le 2 iniziative però c’è una differenza notevole:
  • BERLUSCONI ha capito le potenzialità della televisione e ha intuito che in Italia sta crescendo il bisogno di pubblicità commerciale; di essere abile come un impresario di spettacoli aveva dato prova con Telemilano
  • PRIMA RETE, invece, fa parte di un Gruppo editoriale che è giù in difficoltà e che appare privo di idee chiare; si è già accennato al deludente tentativo del telegiornale Contatto
Canale5 parte dal 1980 e attira rapidamente un buon numero di telespettatori e di inserzionisti; subito dopo nascono:
  • Italia1 dell’editore Rusconi
  • Retequattro della Mondadori e alcuni editori minori
  • EuroTv dell’imprenditore Callisto Tanzi
Le emittenti che si raggruppano in queste reti però non possono usare la 'diretta' e quindi devono limitarsi a telegiornali locali. Tra le poche trasmissioni informative che reggono alla mancanza della 'diretta' si distinguono una serie di interviste di Enzo Biagi su Retequattro. Quello che conta è ben altro: sono i telefilm, il Mondiale di calcio che Berlusconi soffia alla Rai e i giochi a premi dei quali Mike Bongiorno, passato a Canale5, resta il sovrano. Berlusconi batte Rusconi e la Mondadori dimostrando così che il mestiere dell’editore e diverso da quello dell’imprenditore televisivo. Entro il 1984 compra Italia1 e Retequattro. La concorrenza senza legge ha portato alla costituzione di un oligopolio che è in grado di contrastare la potentissima Rai. I dirigenti del servizio pubblico accettano la sfida che si svolge in un clima che richiama l’immagine del Far West. Di una legge regolatrice del sistema misto se ne parla molto, ma manca la maggioranza per farla, perché Berlusconi può contare su molti appoggi politici. La fulminea avanzata delle reti commerciali:
  1. influenza la programmazione della Rai, indirizzata verso maggiori scelte di intrattenimento evasivo
  2. insidia l’editoria giornalistica con la concorrenza pubblicitaria
  1. Le nuove tecnologie
I fattori specifici che contribuiscono in misura notevole a far uscire la stampa quotidiana da una crisi economica grave sono essenzialmente 2:
  1. il rinnovamento tecnologico
  2. la legge dell’editoria
Il fattore tecnologico, che ha il suo perno nel computer, si rivela fondamentale per la sopravvivenza della stampa nell’era della televisione e di fronte ai nuovi media che la 'telematica' (la congiunzione dell’informatica con le telecomunicazioni) consente di realizzare. Ottimizza e accelera la produzione di giornali e ne abbatte i costi, ma modifica radicalmente anche i processi di raccolta, elaborazione e immagazzinamento dell’informazione. La rivoluzione comincia negli Stati Uniti e in Giappone intorno al 1960 e si propaga, in tempi e misura diversi, negli altri Paesi industrializzati. Comporta prezzi alti:
sia perché riduce drasticamente l’occupazione dei tipografi e tende a cancellarne il mestiere
sia perché richiede cospicui investimenti
In una prima fase, il rinnovamento riguarda la composizione. Al vecchio sistema detto 'a caldo' per l’impiego del piombo, subentra quello della fotocomposizione, detto a 'freddo'. La linotype, la macchina regina delle tipografie, va in soffitta. A partire dal 1972-73 comincia in Italia l’impiego della teletrasmissione in facsimile, che assicura ai quotidiani a diffusione nazionale una distribuzione tempestiva e molto meno costosa. La tappa più importante è l’ingresso del computer nelle redazioni con l’impiego dei videoterminali (Vdt). Ora è la macchina da scrivere ad andare in soffitta. Si delinea così un sistema produttivo unico e flessibile chiamato 'sistema editoriale', che segue tutte le elaborazioni necessarie ai fini redazionali e di composizione. La possibilità di colloquiare con l’elaboratore da qualsiasi punto e da qualsiasi distanza sovverte le regole che imponevano un modello produttivo rigido e obbligato. La comparsa dei Vdt in redazione avviene nei primi anni 70 negli Stati Uniti; in Europa il primo paese a adottarli è la Germania federale. In Italia la strada è piena di difficoltà e di ostacoli. Fra gli editori, tradizionalmente legati a concezioni imprenditoriali miopi e viziate da tornaconti politici e dall’assistenzialismo pubblico, si manifestano incomprensioni e scelte contraddittorie o improvvisate che si intrecciano alle più comprensibili preoccupazioni finanziarie. Comunque, la Fieg si converte alla necessità di affrontare la sfida tecnologica. I sindacati dei poligrafici e dei giornalisti oppongono rifiuti e riserve:
  • i primi sanno che il loro mestiere, così come è venuto configurandosi alla fine dell’800 in poi, ne uscirà stravolto, e difendono i livelli occupazionali
  • i secondi solidarizzano con i tipografi e non vogliono sostituirli in alcune loro mansioni, ma soprattutto temono che il nuovo sistema editoriale danneggi l’autonomia professionale e il lavoro in équipe
In effetti, il computer consente l’accentramento decisionale e persino, con l’immagazzinamento dei notiziari delle agenzie, di compilare un quotidiano con l’intervento di pochissime persone. Certo, al fondo di grossi contrasti come questo ci sono:
il desiderio di difendere le situazioni esistenti
la tendenza a sottovalutare i vantaggi delle nuove tecnologie
questioni di potere
(da parte degli editori) la tendenza a considerare il nuovo sistema come un toccasana finanziario e basta
La situazione si sviluppa a piccoli passi e si sblocca con i contratti stipulati nel 1982, sotto la spinta della crisi e in seguito alle garanzie sociali previste dalla legge sull’editoria per la ristrutturazione delle imprese. L’applicazione dei sistemi editoriali avviene in tempi diversi: fra i grandi quotidiani il primo a realizzare un piano organico è La Stampa, mentre è in grave ritardo il Corriere della sera. Per il lavoro dei giornalisti un altro aspetto importante della rivoluzione tecnologica è l’immagazzinamento delle informazioni: le tecniche dell’elaborazione elettronica e quelle della microfilmatura consentono di trasformare i polverosi e poco pratici archivi di redazione in moderne banche di notizie e di dati. In Italia l’iniziativa di maggior portata è quella dell’Ansa con l’istituzione di una banca di notizie (la Dea, Documentazione Elettronica Ansa) nella quale sono memorizzate le sintesi dei fatti più rilevanti, biografie e altri dati dal 1975 in poi.
  1. La legge dell’editoria
L’ammodernamento e le ristrutturazioni delle imprese trovano l’indispensabile supporto nella legge dell’editoria, la n. 416 del 5 agosto 1981, la cui preparazione è particolarmente laboriosa. Non sono però le 'provvidenze per l’editoria' a creare complicazioni e scontri di natura politica, bensì gli intenti riformatori da tradurre in uno statuto particolare delle imprese giornalistiche. Nel dibattito alla Camera pesano gli interessi:
  • delle parti in causa, a cominciare dal Gruppo Rizzoli che ha realizzato la maggior concentrazione di testate mai vista in Italia (più del 23% della tiratura globale dei quotidiani)
  • dei partiti più forti ai quali la crisi della stampa ha dato maggiori possibilità di manovrare per il controllo o il condizionamento di molti giornali
Così all’accordo finale si giunge attraverso una serie di compromessi che renderanno più complicata e controversa l’applicazione della legge. La 416 è divisa in 2 Titoli:
  1. le norme contenute nel Titolo I, Disciplina delle imprese editrici di quotidiani e di periodici, sono permanenti (salvo interventi legislativi)
  2. quelle del Titolo II, Provvidenze per l’editoria, che hanno effetto dal 1° gennaio 1981, durano un quinquennio e, quindi, sono decadute il 31 dicembre 1985
I fini dei 2 gruppi di norme sostanzialmente convergono perché lo scopo delle cospicue provvidenze previste dalla legge è l’indipendenza delle imprese e delle testate dall’assistenzialismo statale e da altri condizionamenti finanziari.
I punti principali del I Titolo sono le norme dirette a:
  • assicurare la trasparenza delle proprietà, dei finanziamenti e dei trasferimenti delle aziende o delle testate
  • stabilire limiti alla concentrazioni di quotidiani
Gli interventi pubblici previsti nel II Titolo si articolano in:
  • finanziamenti agevolati per i piani di riorganizzazione tecnologica
  • contributi a fondo perduto sulle tirature globali per i giornali quotidiani e sui consumi di carta per i periodici
  • misure sociali dirette ad attutire, con la cassa integrazione estesa anche ai giornalisti e con altri incentivi, le conseguenze occupazionali delle ristrutturazioni
Inoltre la legge prevede che alla fine del quinquennio il prezzo dei quotidiani diventi libero. Per garantire la corretta applicazione della legge è istituita una figura nuova per l’ordinamento italiano: quella del Garante, scelto dalla Camera e dal Senato ai quali l’alto magistrato deve presentare ogni 6 mesi una relazione. Tutta la parte esecutiva è affidata invece al Servizio dell’editoria, che dipende dalla Presidenza del Consiglio. In generale, i più convinti sostenitori della riforma sono soddisfatti della legge perché:
  • contiene momenti innovativi, a cominciare dalle norme antitrust (le prime del genere in Italia)
  • può mettere i quotidiani in grado di camminare sulle proprie gambe
Ma le attese vanno presto deluse per gli ostacoli che sorgono sulla via dell’attuazione: comincia una vicenda incredibile e complessa, fatta di ritardi, di inadempienze e anche di difficoltà tecniche e di dubbi interpretativi su norme poco chiare o ambigue. Per dare alla legge un grado apprezzabile di funzionalità sono necessari 3 interventi legislativi: il testo valido della 416 non è più quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 6 agosto 1981, ma quello del 28 marzo 1985. Alla fine del 1985, quando decadono le provvidenze a fondo perduto, il bilancio si può sintetizzare nei termini seguenti:
  • sul problema della trasparenza i risultati sono in generale positivi: a differenza di un tempo, si conoscono i proprietari delle imprese editrici e il Garante è in grado di fornire annualmente i dati della tiratura
  • in quanto alle norme antitrust, dopo il crollo della concentrazione Rizzoli, forti dubbi e contrasti emergono di fronte alla nuova situazione proprietaria del Gruppo stesso
Ma i ritardi hanno messo a repentaglio le imprese più deboli. Ad un certo momento, per sbloccare la macchina dei contributi, c’è voluta la decisione del manifesto di denunciare lo Stato per inadempienza. In conclusione, la situazione economica e gestionale della stampa quotidiana è nettamente migliorata; ora l’insidia maggiore per quotidiani e periodici viene dalle televisioni. Infatti gli investimenti pubblicitari nelle Tv hanno superato quelli sulla carta stampata: l’Italia è l’unico tra i paesi industrializzati in cui si è registrato questo sorpasso.
  1. Oltre i 6 milioni di copie
Non tutto il merito dell’inversione di tendenza può essere attribuito alla legge dell’editoria. È anche il risultato del sensibile miglioramento delle vendite. Il superamento dei 6 milioni di copie vendute giornalmente è il fatto nuovo del quinquennio 1980-85 che, però, è costellato di buchi neri, e non soltanto dal dissesto del Gruppo Rizzoli. Cominciamo dalle crisi:
  • a Torino, dopo un nuovo tentativo di rianimazione, chiude la Gazzetta del Popolo nata nel 1848
  • scompare Lotta continua
  • vengono soppresse 3 testate del Gruppo Rizzoli, 2 delle quali sono il Corriere d’Informazione e L’Occhio
  • hanno gravi difficoltà Il Tempo e La Notte, l’unico quotidiano milanese del pomeriggio, il quale passa nelle mani dell’editore Rusconi che ne tenta il rilancio
  • passa di mano anche Il Gazzettino di Venezia
  • comincia a calare l’altro deficit record, quello de Il Giorno, sia perché riprende la sua vocazione popolare rafforzandosi soprattutto in Lombardia, sia perché è gestito in modo più razionale; ma la possibilità di arrivare al pareggio dei conti è un’utopia
  • resta in deficit anche Il Giornale, ma si tratta di un passivo non elevato e comunque sopportabile per Berlusconi
  • continua a sopravvivere con grande fatica il manifesto, che è stato rinnovato ed ampliato
  • chiude Paese sera
  • insanabili anche con i contributi della legge 416 (e poi di una legge speciale per i fogli di partito e di cooperative) si rivelano i passivi degli organi di partito, dall’Unità all’Avanti!, dal Popolo all’Umanità e al Secolo d’Italia; la crisi più grave e clamorosa di questi anni è quella dell’organo comunista
L’elenco dei fatti positivi del quinquennio comprende:
  • il decollo della Repubblica, ora non più tanto lontana dal Corriere
  • il riacquisto di posizioni da parte della Stampa, del Messaggero e del Mattino
  • vanno bene anche altri fogli a diffusione regionale e interregionale
Tuttavia, a meritare la definizione di fenomeno sono le novità che riguardano i quotidiani locali, quelli sportivi e la stampa economica. Un nuovo modello di testata locale si afferma attraverso la formazione di 2 catene impostate sui sistemi editoriali:
  1. la prima catena è promossa dall’Editoriale L’Espresso a partire dal 1977; gli anelli della catena sono:
  • Il Tirreno di Livorno
  • Il Mattino di Padova
  • La Tribuna di Treviso
  • La Nuova Venezia
  • La Provincia Pavese
  • La Nuova Sardegna di Sassari
  • Il Centro di Pescara
le combinazioni editoriali sono diverse; comune è il disegno di fare quotidiani più moderni e più aperti, politicamente e socialmente, di quelli tradizionali; un’unica redazione romana fornisce i servizi nazionali, ma il nucleo di questi agili tabloid è costituito dalle ben più numerose pagine dedicate alla città e alla zona delle rispettive testate
  1. analoga è la catena delle Gazzette creata dalla Mondadori nel 1981; comprende:
  • la Gazzetta di Mantova (capofila)
  • quella di Reggio Emilia
  • quella di Modena
  • quella di Carpi
Non sono gli unici tentativi di questo tipo, ma sono i più solidi e i più riusciti.
  1. L’informazione economica
All’origine dell’allargamento dell’interesse per l’informazione economica e finanziaria ci sono:
  • la rapida industrializzazione
  • lo sviluppo dei commerci
  • l’aumento dei redditi e dei risparmi
  • la formazione di una vasta categoria di imprenditori medi e piccoli e di manager
Il Sole-24ore, i quotidiani d’informazione generale e alcuni periodici vanno incontro a questa crescente domanda. Fin dall’inizio degli anni 70, la Confindustria aveva deciso di dare al proprio quotidiano più mezzi e un maggior grado di autonomia: Il Sole-24Ore non è più uno strumento di lavoro per pochi operatori economici e di intervento per la Confindustria, ma un organo d’informazione e di opinione ricco di servizi e di collaboratori. La crescita del quotidiano confindustriale è eccezionale ed un forte incremento è avvenuto anche nel Sud. I quotidiani d’informazione generale ampliano lo spazio dedicato all’economia e alla finanza: alcuni, come il Corriere della sera e la Repubblica, escono settimanalmente con un inserto speciale. La maggiore attenzione del pubblico non si accompagna sempre alla qualità dell’informazione che spesso cede a tentazioni pericolose di diversa natura:
  • superficialità ed imprecisione
  • faziosità ed incompletezza
  • sensazionalismo ed eccessi di personalizzazione
  1. Il boom dei fogli sportivi
Meno sorprendente della diffusione dell’informazione economica appare la crescita dei fogli sportivi. Come si sa, l’Italia detiene da tempo un primato in questo campo perché ha sempre allineato da 2 a 4 testate quotidiane. La Gazzetta dello Sport ha sempre avuto una diffusione rispettabile collocandosi tra i primi 10 quotidiani. La tendenza al rialzo, che comincia a manifestarsi tra il 1980-81 e che riceve una poderosa spallata con la vittoria degli italiani nel Mondiale 1982, ha i connotati di un vero e proprio boom. La Gazzetta dello Sport, anche quando perde il primato, resta comunque il quotidiano con il più alto numero di lettori. Lo seguono il Corriere dello Sport-Stadio, che esce a Roma ma ha varie edizioni, e il torinese Tuttosport. Nel supermercato del fatidico muro dei 6 milioni di copie vendute il contributo dei quotidiani sportivi è molto più elevato di quello fornito dalle testate nazionali e locali. Le ragioni del boom sono molteplici:
  • il desiderio di evasione, il distacco dalla politica e altri stati d’animo simili (motivi di natura politico-sociale)
  • l’abilità e la spregiudicatezza giornalistica
  • l’aumento delle trasmissioni sportive delle televisioni
Invece di provocare un senso di saturazione, lo sport in Tv ha avuto un effetto di traino alimentando l’interesse e la curiosità del pubblico. In sostanza, questi giornali fanno leva su sentimenti elementari privilegiando i retroscena dei fatti e persino la vita privata degli atleti. A queste scelte si accompagnano:
  1. lo sforzo di semplificare il linguaggio
  2. uno sfruttamento delle risorse grafiche (titolazione di scatola, uso sofisticato delle fotografie, impaginazione forte) che conferisce all’informazione un effetto spettacolare
All’evoluzione della formula va aggiunto il potenziamento editoriale: aumento della foliazione e promozioni pubblicitarie.
  1. Il salvataggio del Gruppo Rizzoli
Le elezioni del 1983 prolungano lo stato di grave incertezza sul destino del Gruppo Rizzoli-Corriere della sera al cui salvataggio stanno lavorando il presidente del Nuovo Banco Ambrosiano e gli amministratori assunti dal Tribunale di Milano. La campagna elettorale è caratterizzata dalle guerre di 2 partiti contro alcuni grandi giornali:
  1. quella mossa dal Pci contro la Repubblica, rea di dare credito politico alla Dc
  2. quella del Psi contro Scalfari (Repubblica) e contro Cavallai (Corriere)
Le elezioni si concludono con un netto arretramento della Dc; Craxi diventa presidente del Consiglio. Il contrasto con la stampa continua e acquista maggior rilievo; la principale critica della stampa è rivolta alla corruzione del mondo politico. Nel 1984, alla direzione del Corriere, a Cavallari succede Piero Ostellino, il quale è di formazione liberale, ma di posizione aperta alla linea impressa da Craxi al Psi; la sua condotta è cauta, specialmente in politica interna. Poco dopo ritorna in via Solferino, come rilevante commentatore politico, Alberto Ronchey. Il salvataggio avviene ad opera di un’alleanza di industriali e finanzieri detta 'nobile'; ne fanno parte:
  • la finanziaria Gemina (Mediobanca, Fiat, Pirelli, Orlando e Bonomi)
  • la società Meta (Gruppo Montedison)
  • la finanziaria Mittel (controllata da esponenti della finanza cattolica)
  • l’imprenditore siderurgico Giovanni Arvedi
Il vero leader è Gianni Agnelli, ma la posizione del boss della Montedison, Schimberni, è forte. La soluzione è accolta con favore da molti perché appare la migliore tra quelle possibili. Tuttavia, con questa operazione si è formata una catena di quotidiani importanti che va da Torino (La Stampa) a Napoli (Il Mattino) passando per Milano (Corriere della sera e Gazzetta dello Sport) e per Roma (Il Messaggero) e che è nelle mani di potenti dell’industria e della finanza. C’è chi denuncia una duplice violazione delle norme antitrust: una da addebitare alla Fiat, l’altra alla Montedison; ma il Garante ed il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giuliano Amato, ritengono che la legge non sia stata violata. Viene chiesto l’intervento della magistratura, previsto dalla legge stessa. L’alleanza si libera della quota di maggioranza del Mattino perché ritiene inopportuno gestire il giornale a metà con la Dc. Subentra a fianco della società Affidavit l’imprenditore Stefano Romanazzi che controlla già la Gazzetta del Mezzogiorno di Bari. Così si rinsalda il legame della Dc con i 2 quotidiani che hanno una posizione dominante nel Mezzogiorno. Nel 1985 il Gruppo, finanziariamente, veleggia già in buone acque.
  1. Settimanali e mensili
Da alcuni anni il campo dei settimanali è sottoposto ad una duplice concorrenza:
  1. quella della televisione
  2. quella dei grandi quotidiani che hanno intrapreso la strada della 'settimanalizzazione' arricchendosi di inserti e supplementi di vario genere
Il quadro complessivo appare meno florido di un tempo: c’è stata una selezione, ci sono segni di stanchezza, ma i settimanali più forti e agguerriti hanno vendite e indici di lettura ragguardevoli e continuano a dare utili cospicui. Sì è tuttavia accentuata in molti periodici la tendenza alla commercializzazione dei contenuti attraverso intrecci con la pubblicità che insidiano o coinvolgono il ruolo dei giornalisti. Fra i newsmagazines la gara fra L’Espresso e Panorama vede in testa il settimanale della Mondadori (Panorama); il terzo è l’Europeo. Fra i 'familiari' il primato appartiene a Famiglia cristiana delle Edizioni Paoline, venduta nelle parrocchie, nei circoli cattolici e da qualche anno anche in edicola. Lo seguono Gente e Oggi, in coda troviamo testate come la Domenica del Corriere ed Epoca. Vanno molto bene i settimanali popolari dedicati al mondo delle televisione: Sorrisi e canzoni Tv, che dal Gruppo Rizzoli è passato a Berlusconi, detiene il primato assoluto. Una novità è stata il lancio di parecchi mensili diretti a pubblici particolari o specializzati. Hanno avuto successo mensili dedicati alla classe manageriale, alla natura e all’ambiente, ai motori, ai viaggi, alla casa, al giardinaggio. Il caso più rilevante è rappresentato da Airone (G. Mondadori Associati).
  1. Magistratura e stampa
All’inizio degli anni 80 si è acuito il difficile problema dei rapporti fra la magistratura ed il giornalismo che in Italia riesplode periodicamente. Una serie di sentenze e di casi ha messo a nudo più nettamente che in precedenti occasioni l’incertezza e l’arcaicità di varie norme, in parte concepite durante il fascismo, e comportamenti obliqui da una parte e dall’altra. Questo stato di cose:
  • dipende soprattutto dalle inadempienze e dai ritardi del potere legislativo nel riformare i codici, fissando regole chiare e adeguate ad una società moderna e libera
  • favorisce, da un lato, vecchi vizi del giornalismo e, dall’altro, tendenze repressive (e protettive del sistema di potere) sempre presenti in parte della magistratura
Il caso che suscita maggior clamore è una sentenza della Corte di Cassazione resa nota il 20 ottobre 1984. Confermando un verdetto di una causa di diffamazione, la Corte non si limita a riaffermare principi generali da condividere:
  • il dovere del giornalista di basarsi sulla verità anche presunta, purché sia frutto di un serio lavoro di accertamento
  • il diritto del cittadino che si ritiene danneggiato di rivolgersi direttamente al giudice civile
L’estensore della sentenza ha stilato una serie di indicazioni professionali e deontologiche molte delle quali, se venissero tradotte in norme, lederebbero seriamente la libertà di stampa (es: considerare elementi di giudizio l’uso del punto esclamativo e la scelta di 'aggettivi coloriti', legati a valutazioni personali). Protestano a gran voce i giornali, la Federazione della stampa e l’Ordine dei giornalisti; diffuse sono le perplessità e le inquietudini tra i giuristi; tuttavia, sono gli aspetti assurdi e ridicoli della sentenza a farla scomparire rapidamente dalla scena giornalistica. Più concreti e frequenti sono i casi riguardanti il segreto istruttorio ed il segreto professionale.
  • come riconoscono anche molti magistrati, il SEGRETO ISTRUTTORIO è diventato da tempo praticamente inapplicabile soprattutto a causa della durata dei procedimenti giudiziari che ha finito per rendere più importante la fase istruttoria di quella dibattimentale; alle violazioni contribuiscono tutte le parti in causa:
  • i magistrati e gli avvocati, desiderosi di pubblicità o spinti da interessi particolari
  • i giornalisti, mossi dalla voglia o smania di fare uno scoop oppure, nei casi migliori e non infrequenti, sono spinti dal diritto-dovere di informare il pubblico su vicende che spesso si tende a coprire
comunque, in tutti i casi in cui la magistratura interviene, si procede sempre contro il giornalista mentre gli altri 'violatori' restano ignoti
  • sul SEGRETO PROFESSIONALE, il conflitto fra magistrati e giornalisti vede addirittura la contrapposizione di 2 norme, entrambe in vigore:
  • una è quella del Codice, che non elenca il giornalista tra le persone autorizzate a conservare un segreto e a non rivelarne la fonte
  • l’altra è quella della legge sull’Ordine dei giornalisti, nella quale si afferma: 'giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse'
l’importanza di questa garanzia per lo svolgimento dei compiti del giornalista è evidente, ma sono altrettanto evidenti le esigenze della giustizia che, con maggior frequenza, i magistrati impongono procedendo e arrestando i giornalisti che invocano vanamente la legge sull’Ordine professionale; sul conflitto si è pronunciata la Corte costituzionale affermando che le esigenze della giustizia sono primarie, ma ribadendo la necessità che una legge tuteli il segreto professionale del giornalista, ma finora questa legge non c’è
Anche la questione della tutela dell’onorabilità (= correttezza nei confronti) dei cittadini va regolata meglio. La legge sulla stampa vigente in Italia è ancora quella legge-stralcio votata dall’Assemblea costituente all’inizio del 1948, qui e là ritoccata con interventi legislativi non coordinati. Per la legge di tutela della privacy si dovrà aspettare la direttiva europea nel 1997.

STAMPA E DOMINIO TV (anni 90)
  1. La sfida Corriere della Sera - la Repubblica
Dal 1986, in un’Italia percorsa da ventate di ottimismo e dall’intraprendenza spregiudicata del leader socialista Craxi, i media entrano in una fase di crescita. Si consolidano i 2 poli televisivi, il pubblico ed il privato, che si fronteggiano e si bilanciano in una concorrenza nettamente commerciale. Sparisce l’indice di gradimento, comincia il dominio dell’audience. La stampa quotidiana, superata la barriera dei 6 milioni di copie giornaliere, conquista lettori di anno in anno. I maggiori quotidiani battono la strada del gigantismo (più pagine, contenuti più variati e più accattivanti per spettacolarizzazione) e quella del marketing. Le speranze che l’approdo al mercato editoriale anche di questi giornali riduca sensibilmente l’antica scelta del mercato politico e metta in moto un processo di differenziazioni qualitative vanno in parte deluse:
  • sia perché la caccia al lettore e all’inserzionista, sempre più attratto dal teleschermo, è preminente
  • sia perché rinascono forti tendenze alle concentrazioni e alle integrazioni produttive
  • sia perché si intensificano le manovre del potere politico sui media, diventati strumenti primari di comunicazione politica e di promozione del consenso
In quanto alle scelte di marketing, già coltivate da tempo dai settimanali con i gadgets più disparati, per i quotidiani sono, in un primo tempo, di carattere editoriale; in seguito cadono su giochi a premio. La vicenda di primo piano è la gara ai sorpassi fra la Repubblica ed il Corriere della sera. Il primo sorpasso, quello clamoroso perché il primato del foglio milanese durava del 1904, avviene nel novembre 1986. Alla crescita impetuosa di Repubblica hanno concorso:
  • l’inserto settimanale Affari & Finanza
  • una serie di supplementi gratuiti
  • la ripresa di un atteggiamento critico sulla partitocrazia (= tendenza dei partiti a sostituirsi al parlamento nel governo dello Stato)
  • l’immobilismo del Corriere (che ha avvantaggiato l’avversario)
Il distacco aumenta dal gennaio 1987 perché la Repubblica lancia un gioco a premi: si chiama Portfolio ed è collegato all’andamento del listino di Borsa (lo aveva adottato il Times di Londra). Il Gruppo Rcs (Rizzoli-Corriere della Sera) comincia a reagire cambiando il direttore del Corriere: la scelta cade su Ugo Stille. Una buona scelta perché Stille gode di un prestigio indiscusso e poi è di casa. La sua presenza in via Solferino ridà lustro all’antico blasone e attenua le tensioni all’interno del corpo redazionale. Per l’inseguimento vero e proprio occorre però un’iniziativa promozionale che arriva nel settembre 1987 col lancio del magazine Sette, in vendita col quotidiano (sull’esempio del Figaro di Parigi). Il risultato è buono e rappresenta un segnale incoraggiante per i redattori perché questa volta il rivale è stato preceduto. Repubblica risponde con un magazine altrettanto colorato, Il Venerdì. Per l’uno e per l’altro il prezzo di vendita complessivo è basso e non copre le spese, ma il pacco di Repubblica è più ricco perché comprende anche l’inserto economico. Così Repubblica resta in testa e ci rimane fino al gennaio 1989, quando il Corriere lancia un gioco molto semplice, una lotteria con 10 milioni di premi al giorno, che si chiama Replay. Un successone: il Corriere ritorna in testa. Dunque, l’immagine dei maggiori quotidiani italiani è molto diversa da quella tradizionale, anche rispetto alle novità del Giorno, 30 anni prima, e poi de la Repubblica. È un immagine brillante, ricca di articoli, di varietà e di rubriche quella prevalente oggi, che non fa economie sugli eccessi del sensazionalismo e della spettacolarizzazione. I quotidiani del mattino ormai sono tutti 'gridati' per cercare di attrarre lettrici e giovani. Fra i quotidiani in crescita ci sono anche Il Messaggero, Il Gazzettino ed Il Sole-24Ore. Il quotidiano confindustriale diventa il centro di una costellazione di supplementi specializzati e presenta la domenica un inserto culturale di buon livello. Sulla scia di questo successo nascono altre iniziative di informazione economica: la maggiore è il quotidiano Italia Oggi, che esce a Milano nel 1986. Tuttavia, non differenziandosi abbastanza dal giornale-leader del settore, non decolla. La testata sopravviverà, gestita dal Gruppo del giornalista Paolo Panerai che comprende il mensile Class ed il settimanale Milano Finanza. Soccombono invece 2 testate storiche:
  1. la Gazzetta del Popolo, nata a Torino nel 1848
  2. il Roma, nato a Napoli nel 1862
Tra i fogli più noti sono in gravi difficoltà finanziarie:
  • Il Giorno, che però trova un certo spazio moltiplicando le edizioni destinate al mercato lombardo ed è sostenuto dall’Eni
  • Il Tempo di Roma
  • Il Lavoro di Genova, che diventerà un inserto quotidiano nell’edizione ligure de la Repubblica
E sono ad un passo dalla chiusura (che avverrà tra il 1992 ed il 1995) i superstiti quotidiani del pomeriggio:
  • L’Ora di Palermo
  • Stampa sera
  • Paese sera
  • La Notte
L’introduzione nelle redazioni dei sistemi editoriali basati sul computer e l’aumento delle edizioni e della foliazione dei quotidiani hanno determinato, invece, il potenziamento delle agenzie di notizie, che ora sono in grado di trasmettere direttamente all’ordinatore delle testate abbonate notiziari e servizi. La più importante resta l’Ansa che da alcuni anni mette a disposizione dei propri clienti anche il suo archivio elettronico di notizie. Altre 3 agenzie hanno ottenuto il riconoscimento di agenzie nazionali: l’Agenzia Italia, l’Adn-Cronos e l’Asca. Inoltre, il sistema editoriale consente al giornalista di:
  • consultare rapidamente numerose banche dati e molti archivi
  • trasmettere direttamente i propri servizi alla redazione
  • procedere alle video-impaginazione
L’impiego del telefono cellulare consente la trasmissione di notizie e di articoli anche da grande distanza. I processi di sviluppo dei media determinano, naturalmente, un nuovo aumento del numero di giornalisti. Accanto a questi giornalisti con la patente ufficiale è cresciuto ancora il numero di coloro che fanno del giornalismo a tempo pieno (in piccole emittenti radiofoniche e televisive e in settimanali minori), ma non hanno i titoli richiesti per entrare nella corporazione. Questa discriminazione accresce le riserve sull’Ordine obbligatorio, già discusso per:
  • la limitata azione deontologica
  • i meccanismi di ingresso in una professione che richiede libertà, competitività e possibilità di ricambio
  • i ritardi con cui ha affrontato i problemi della preparazione e dell’aggiornamento culturale
Soltanto nel 1989 l’Ordine istituisce 4 scuole professionali sull’esempio, pur positivo, della scuola voluta dall’Ordine lombardo fin dal 1977. Più importanti, in una società dell’informazione come quella che sta crescendo anche in Italia, appaiono i problemi deontologici, in genere poco sentiti dagli italiani. Sono in molti a bollare la politicizzazione interessata di molti giornalisti definendoli 'giornalisti dimezzati'. Però la denuncia resta senza risposte, eccetto quella della redazione e del direttore de Il Sole-24Ore che approvano un codice di autodisciplina ispirato a quello in vigore al Wall Street Journal. Ma il segnale è incompleto perché il codice non prevede sanzioni disciplinari. Anche per la Carta dei doveri, che il sindacato dei giornalisti e l’Ordine hanno cominciato ad elaborare, le sanzioni sono escluse in partenza. Inoltre, soltanto dal maggio 1991 l’ordinamento del nostro Paese può contare su una legge contro l’insider trading (= corruzione interna), un reato che negli Stati Uniti è stato più volte e da anni punito con severità. Ma la legge si rivela di difficile applicazione.
  1. La Grande Mondadori e il duello De Benedetti-Berlusconi
Alla fine degli anni 80 nasce un secondo gruppo editoriale dopo la formazione di quello Rizzoli-Corriere della sera. La Mondadori, controllata da Carlo De Benedetti, incorpora l’altro 50% de la Repubblica e della catena dei quotidiani locali Finegil e la totalità delle azioni del settimanale L’Espresso. Quindi, dominano la scena mediatica italiana:
la GRANDE MONDADORI il GRUPPO RCS la RAI la FININVEST
Fra gli azionisti Mondadori c’è anche Silvio Berlusconi (proprietario della Fininvest, de Il Giornale e del settimanale più diffuso d’Italia, TV-Sorrisi e Canzoni) il quale da tempo ha esteso, con alterna fortuna, le sue attività di grande imprenditore televisivo in Francia, Spagna e Germania. L’artefice dell’operazione Grande Mondadori è De Benedetti (rivale suo e dei suoi amici politici) che è stato l’altro soccorritore della Mondadori dopo la pesante disavventura di Retequattro. De Benedetti aveva lanciato l’idea di unire il gruppo di Segrate a quello romano fin dal 1986, ma il presidente della Mondadori, Mario Formenton, l’aveva considerata prematura.




L’improvvisa scomparsa di Formenton nel 1987 aveva messo in crisi le intese tra gli eredi di Arnoldo Mondadori
da una parte i Formenton, che si alleano a dall’altra Mimma Mondadori e suo figlio
De Benedetti Leonardo, alleati di Berlusconi
detengono la maggioranza dell’Amef, la finanziaria che controlla la Mondadori anche perché De Benedetti ha accresciuto nel frattempo la propria quota azionaria
Torna in discussione la proposta di fusione con un’offerta di De Benedetti che Caracciolo e Scalfari finiscono per accettare, suscitando perplessità e contrarietà fra i giornalisti. Caracciolo assume la presidenza della Grande Mondadori con Luca Formenton come vicepresidente. È inoltre previsto l’ingresso di Scalfari nel Consiglio di amministrazione. Berlusconi e i suoi alleati non si arrendono, anzi, preparano il contrattacco. Così la Grande Mondadori diventa il teatro di una contesa aspra e tortuosa, che i giornalisti si affrettano a chiamare la 'guerra di Segrate' e che ha un obiettivo economico e finanziario ed un obiettivo politico. De Benedetti infatti condivide sostanzialmente le linee dei giornali di Caracciolo e di Scalfari, mentre Berlusconi è legato a Craxi, Andreotti e Forlani. In gioco quindi c’è il controllo delle voci giornalistiche più agguerrite nelle critiche del sistema di potere: la Repubblica, L’Espresso e Panorama. Voci che in questa fase sono più efficaci dell’Unità. Dopo le prime settimane di convivenza con De Benedetti e Caracciolo, tra i Formenton si fa strada la sensazione che la loro influenza nella gestione del grande gruppo stia diminuendo senza rimedio; e perciò cominciano a dare ascolto ai consigli e agli allettamenti che provengono da Berlusconi. Dopo ripetuti ripensamenti decidono di cambiare campo e, nel 1989, cedono a Berlusconi la maggior parte delle azioni. De Benedetti fa ricorso denunciando una violazione degli accordi di sindacato stipulati tempo addietro, ma la prima decisione del magistrato gli è sfavorevole. Berlusconi in persona assume la presidenza della Grande Mondadori. La direzione de la Repubblica dichiara il nuovo editore 'irricevibile' perché troppe questioni di principio sulla professione giornalistica e sulla libera concorrenza la dividono da lui: Scalfari e i suoi collaboratori possono adottare un atteggiamento così netto anche perché il quotidiano fa parte di una società editoriale nella quale Berlusconi non è ancora riuscito ad entrare. Non può infatti scavalcare regole procedurali. Diversa è la situazione di Panorama, il cui direttore sceglie le dimissioni; come direttore del settimanale Berlusconi sceglie un interno: Andrea Monti. Tuttavia, dopo poche settimane, una nuova sentenza costringe Berlusconi a lasciare la presidenza, che passa ad un commercialista designato dal magistrato. L’incrociarsi della guerra di Segrate con l’avvio del dibattito parlamentare sul sistema televisivo fa prevalere l’idea della spartizione della Grande Mondadori. Favorevole all’operazione è Giulio Andreotti, presidente del Consiglio; la realizza Giuseppe Ciarrapico, un imprenditore che vanta conoscenze importanti nel mondo politico. In sostanza avviene uno scambio considerato opportuno anche dai leader moderati della Dc che, evidentemente, hanno cominciato a preoccuparsi di fronte ai disegni di Berlusconi. Il quale però esce rafforzato da queste intricate vicende perché diventa proprietario della vecchia Mondadori e ottiene quasi tutte le assicurazioni che chiedeva per la legge televisiva. L’accordo di spartizione viene firmato nel 1991
a Berlusconi vanno le produzioni di libri e a De Benedetti restano la Repubblica, L’Espresso
periodici, gli stabilimenti e le altre società e la catena dei quotidiani locali raggruppati nella
mondadoriane Finegil
Scalfari e Rinaldi (direttore de L’Espresso) possono continuare a svolgere il ruolo di critici del sistema di potere. Non è ancora conclusa del tutto, all’inizio del 2000, l’indagine su alcuni magistrati accusati di aver favorito Berlusconi nel corso della vicenda. Il dibattito parlamentare sul disegno di legge che prende il nome del ministro delle Poste e telecomunicazioni, Oscar Mammì, si è già concluso; è stato molto teso e non privo di colpi di scena. L’emendamento sul quale si discute in modi accesi riguarda le interruzioni pubblicitarie dei film trasmessi dalle reti private. La legge, che reca la data 6 agosto 1990 e il numero 225, sancisce:
  • l’esistenza del duopolio, 3 reti Rai e 3 reti Fininvest
  • pone limiti alle concentrazioni fra tv e quotidiani (ma non con i periodici)
  • obbliga Berlusconi a trasmettere telegiornali in ciascuna rete
L’unica rinuncia che deve fare è la proprietà del quotidiano Il Giornale; lo cede a suo fratello Paolo al quale ha passato le imprese edilizie. La legge glielo permette. Direttore de Il Giornale resta Indro Montanelli, anche se in varie occasioni ha preso le distanze dal proprietario della Fininvest. In compenso di questa rinuncia poco credibile, subito dopo l’approvazione della legge Mammì, Berlusconi può creare, insieme ad alcuni soci, la società Telepiù per lanciare 3 pay-tv, un tipo di emittenti sulle quali non esiste alcuna norma. A conclusione di questa fase, il campo dei media è più ricco e potente, caratterizzato da 3 grandi concentrazioni:
  1. la RAI (radiotelevisiva)
  2. la RCS (carta stampata)
  3. RETI FININVEST + una fetta di TELEPIU’ + la MONDADORI (è la maggiore e l’unica mista)
La crescita però è stata realizzata soprattutto con scelte di tipo commerciale che stanno influenzando il giornalismo.
  1. Inviati in guerra
Negli anni a cavallo del 1990, diversi eventi politici ed economici di grande portata (dalla disgregazione del blocco sovietico e dell’Urss, che spegne la guerra fredda, alla crisi delle ideologie e alla globalizzazione dei mercati) hanno conseguenze rilevanti anche nei paesi democratici.
  • la guerra del Golfo
  • i conflitti della Bosnia e poi del Kossovo, che hanno dilaniato la ex Jugoslavia
  • la riconquista armata della Cecenia da parte di Mosca
  • le ripetute rivolte in Africa
riportano in primo piano il lavoro degli inviati di guerra. Durante la guerra del Golfo, fra gli Stati Uniti con alcuni alleati e l’Iraq, un giornalista americano, grazie all’impiego del satellite, può trasmettere da Baghdad, la capitale del nemico, servizi che la catena televisiva Cnn diffonde in tutto il mondo. Non pochi giornalisti ed operatori della Tv perdono la vita in questi conflitti. Guerre
poco visibili (es: guerra del Golfo) più visibili (es: guerra del Kossovo nel 1999)
Nella guerra contro la Serbia del dittatore Milosevic gli attacchi aerei americani e la parte svolta dall’Italia e dagli altri paesi europei sono stati rappresentati e descritti dalle televisioni, dalle radio e dalla stampa. Poco visibile invece è stata la repressione armata della lotta dei ceceni per l’indipendenza dalla Russia a causa delle pressioni di Mosca sui paesi occidentali.
  1. Tangentopoli
In Italia il sistema partitocratrico si sta indebolendo per le crescenti difficoltà finanziarie a sostenerne i costi sociali e sotto i colpi dei movimenti leghisti per gli attacchi allo Stato accentratore. Per l’intraprendenza della Procura di Milano, e poi di altre città,
la DC il PSI e i loro ALLEATI MINORI
vengono investiti dallo svelamento di una corruzione diffusa ed eretta a sistema. Le proporzioni del malaffare sollevano un’ondata di indignazione in tutto il Paese. Tangentopoli travolge Craxi e altri dirigenti e faccendieri del Psi, che praticamente scomparirà, e lo stesso accade per la Dc, che si divide in 3 tronconi. Cessano le pubblicazioni quotidiane l’Avanti! e La Voce repubblicana; si salva Il Popolo. Con i partiti sono coinvolte diverse imprese di primo piano. In sostanza, personaggi e centri del potere abituati a condizionare la maggior parte dei media si trovano fuori gioco. Quotidiani, periodici ed emittenti radiotelevisive danno grande risonanza a questi eventi. Le televisioni diffondono in diretta le udienze del processo più clamoroso che vede Antonio Di Pietro, uomo di punta della Procura di Milano, nel ruolo di pubblico accusatore. Tutti i segretari di partito vengono condannati; Craxi lascia l’Italia. Per i telegiornali e per i fogli che sono stati più o meno docili verso il potere politico, l’occasione è d’oro: il caso più evidente è il Corriere della sera che resiste alle richieste di rimettersi in riga. I giornalisti invece non sfruttano le possibilità di allentare la politicizzazione e di dare al proprio ruolo un carattere sociale. La lentezza della macchina della giustizia e le accanite polemiche che contrappongono alcuni indagati eccellenti, tra i quali Berlusconi, e i partiti del centrosinistra, attenuano l’impatto di Tangentopoli sull’opinione pubblica.
  1. Cresce la teledipendenza
  • l’informazione gridata
  • le dosi di cronaca nera e rosa
  • il prendere partito
  • l’aumento del prezzo
  • le iniziative promozionali
sono le prime risposte alla concorrenza delle Tv e al calo degli introiti pubblicitari. Più preoccupante però è la diminuzione di lettori. Un’altra risposta degli editori è la scelta di direttori giovani, sui 40 anni, molti dei quali avevano vissuto le esperienze dei movimenti di contestazione o di gruppi extraparlamentari. Il ricambio comincia già nel maggio 1990 a La Stampa, affidata a Paolo Mieli. L’operazione è di vivacizzare il giornale con una diversa articolazione e un differente dosaggio dei contenuti in gran parte derivato dai telegiornali e dai programmi televisivi. Inoltre viene conglobata nella Stampa l’edizione del lunedì di Stampa sera che ha una diffusione notevole. Dal successo del rilancio de La Stampa nasce, per Mieli, la nomina a direttore del Corriere della sera. Succeduto a Ugo Stille, Mieli sottopone anche il foglio milanese alla cura vivacizzante:
  • nuovi editorialisti
  • nuova foliazione
  • valorizzazione di tutto ciò che trasmettono le televisioni
  • più rubriche varie e chiacchiere politiche
I modi della teledipendenza sono parecchi:
  1. il primo è la scelta degli argomenti e del linguaggio dei telegiornali che sono diventati più ricchi (tra quelli della Fininvest si distingue il Tg5 diretto da un giovane di talento, Enrico Mentana, che proviene dalla Rai; nel servizio pubblico riprende a salire l’audience del Tg1 e del Tg2)
  2. un altro modo di seguire il pubblico televisivo è dare spazio e importanza ai più popolari protagonisti dei teleschermi, dai presentatori come Pippo Baudo alle soubrettes come Alba Parietti
Ai critici di questi indirizzi, i direttori quarantenni replicano che sono cresciuti nell’era della televisione; Mieli è esplicito: occorre fare un quotidiano competitivo con la televisione. Altri cambi di direttore avvengono a Il Messaggero, al Mattino, alla Gazzetta del Mezzogiorno e a Il Tempo di Roma. In gravi difficoltà non soltanto economiche ma di natura politico-ideologica sono molte testate della sinistra, da l’Unità a il manifesto. Alla direzione dell’Unità subentra anche Walter Veltroni; i cambiamenti sono notevoli, sia d’impostazione grafica che di contenuti:
  • articoli e interviste vengono chiesti a personalità e collaboratori che non appartengono all’area del Pds (Partito Democratico della Sinistra)
  • vengono adottate alcune iniziative promozionali di natura editoriale che fanno risalire le vendite
Veltroni è anche l’ideatore di una superpromozione, le videocassette di film, avviata nel 1994, imitata dal Corriere della sera e da alcuni settimanali. Il successo è notevole, ma non dura a lungo. All’inizio del 1996 la Repubblica e il Corriere presentano un supplemento al giorno (esclusa la domenica). In cattive acque finanziarie navigano i 2 colossi televisivi: più la Rai della Fininvest. Con il governo presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, nel 1993, si fa strada l’idea di smontare il duopolio, mentre per la guida della Rai il Parlamento approva una soluzione di emergenza allo scopo di affrontare il pesante deficit e la piaga della lottizzazione. Il nuovo Consiglio di amministrazione, nominato dai presidenti dei Camera e Senato, è di soli 5 membri. Il pesante deficit della Rai viene sensibilmente ridotto ma il Parlamento non riesce a discutere nuove regole per il servizio pubblico. Da provvisoria, la soluzione di emergenza rischia di diventare definitiva e le alterne vicende del potere riportano la Rai verso la lottizzazione e il controllo del vincitore.
  1. Scontri con i media e con la scheda
Nella fase di transizione lenta e confusa nella quale vivono gli italiani, crescono nel campo dei media la politicizzazione e l’asprezza delle polemiche. Il giornalismo è diventato più nevrotico ed è segnato dall’eccesso. Spingono alla rissa e alla parzialità le competizioni elettorali che si svolgono tra il marzo 1994 e l’aprile 1996. Gli eventi principali che coinvolgono i media sono:
la 'discesa in campo' di Silvio Berlusconi, le sue vittorie e il suo governo
il successivo successo dell’Ulivo (centro-sinistra)
La prima ripercussione della scelta di Berlusconi è la decisione di Indro Montanelli, il più celebre giornalista d’Italia, di lasciare la direzione de Il Giornale, da lui fondato nel 1974. Il proprietario della Fininvest ha a portata di mano un direttore adatto ai suoi disegni: Vittorio Feltri. La diffusione de Il Giornale cresce sensibilmente. Montanelli non si ritira: scrive sul Corriere della sera in attesa dell’inizio de La Voce, che avviene a Milano pochi giorni prima del voto. Un grande successo che però scema pochi mesi dopo la clamorosa vittoria di Berlusconi e di Fini che, evidentemente, influenza molti lettori di Montanelli. La Voce deve chiudere; Montanelli torna al Corriere della sera come editorialista e come titolare della mezza pagina delle lettere del pubblico. L’aspetto più importante e più eclatante delle elezioni del 1994 è il ruolo preminente svolto dalla televisione e l’impiego che Berlusconi ha saputo farne, confermando la sua bravura di comunicatore. Si parla di 'televoto' e di 'telecrazia'. Le ricerche non hanno provato con certezza quanti voti ha spostato la televisione. Più la Fininvest perché la Rai è risultata maggiormente rispettosa della par condicio. Appare invece evidente a tutti quale influenza non superficiale sugli stili di vita e sulle mentalità abbia avuto la televisione negli ultimi 10 anni nei quali è stato sensibile il miglioramento del tenore di vita. Prende avvio un dibattito sul conflitto di interessi per le 3 reti televisive possedute da Berlusconi, ma senza esiti. Il suo governo dura all’incirca 8 mesi per il voltafaccia della Lega. Nel 1996 nuove elezioni: questa volta vince, sotto il segno dell’Ulivo, la coalizione di centrosinistra, sotto la guida di Romano Prodi. Lo sviluppo economico e l’avvio del risanamento finanziario, che consentono all’Italia di entrare nelle moneta unica europea, incrementando gli investimenti pubblicitari. Ne beneficiano sia le grandi Tv sia la stampa. In particolare i maggiori quotidiani più dei settimanali. Il mercato di lettura dei quotidiani è tuttavia in crisi: dal primato del 1990 (superamento dei 6 milioni di copie), la media globale delle vendite è scesa sotto i 6 milioni. Chiudono:
  • La Notte
  • La Voce
  • l’Informazione
sono in difficoltà:
  • il manifesto, che subisce una pesante concorrenza da Liberazione (Rifondazione comunista)
  • L’Indipendente
sono in vendita:
  • Il Mattino
  • la Gazzetta del Mezzogiorno
perché il Banco di Napoli deve disfarsene. La privatizzazione dell’Eni coinvolge Il Giorno, che viene ceduto all’editore del Resto del Carlino e della Nazione. La categoria giornalistica conosce la disoccupazione e la cassa integrazione. Sembra giunto il momento di riesaminare le formule dei giornali quotidiani. Il giornalista che prende questo impegno è uno dei più affermati: Eugenio Scalfari. Alla vigilia del 20simo compleanno de la Repubblica riconosce:
  • alcuni vizi del giornalismo italiano
  • la disaffezione dei lettori
  • le responsabilità del suo giornale
'I lettori – dice – hanno bisogno di qualcosa di più serio'. È un impegno importante perché riguarda un quotidiano di successo che ha innovato profondamente la stampa del nostro Paese; ma è un impegno di lunga durata, che resta appena abbozzato e che anticipa la rinuncia di Scalfari alla direzione de la Repubblica restandone però il principale commentatore. Il successore è Ezio Mauro. Tuttavia, continuano a prevalere:
  1. il gigantismo
  2. la ricerca degli effetti sul pubblico
  3. quella particolare attenzione alla vita politica di tutti i giorni
che caratterizzano da tanti decenni la stampa quotidiana del nostro Paese. Cambio di direttore a l’Unità, perché Veltroni, con la vittoria elettorale, diventa vicepresidente del Consiglio. Il calo continuo delle vendite induce i responsabili dell’Unità a:
  • tentare una semi-privatizzazione
  • fare una drastica ristrutturazione del personale e il taglio delle edizioni regionali
Il distacco di frange consistenti di lettori è dovuto anche alla scarsa credibilità dei giornali. Questo problema non è ancora stato affrontato con la serietà che merita. La Carta dei doveri, presentata nel 1993 dalla Federazione nazionale della stampa e dall’Ordine dei giornalisti, non è diventata operativa. Ora si attendono i risultati del Codice deontologico nato dalla legge sulla privacy (1997). Va meglio sotto il profilo della preparazione alla professione. Sia pure con ritardo, l’Ordine ha creato 5 scuole professionali e l’Università ha istituito corsi di laurea in Scienze della comunicazione. In questi corsi verrà istituita la laurea in giornalismo, mentre l’Ordine continua a sopravvivere.

GIORNALISMO E INTERNET (fine anni 90 - inizio 2000)
Alla fine del XX secolo il mondo dell’informazione, arricchito anche in Italia dalle straordinarie novità dell’era digitale, presenta:
  1. successi di pubblico
  2. ottimi risultati finanziari alternati a situazioni di crisi
  3. serie incognite di fronte alla potenza dell’ultimo arrivato: Internet
Una potenza che si sta dispiegando nel nostro paese proprio nell’anno 2000. Le incognite immediate riguardano il futuro della stampa e l’evoluzione del giornalismo. Nel 1999 lo stato dei media tradizionali era questo:
  • in testa ai telegiornali della sera del duopolio televisivo c’è il Tg1, seguito dal Tg5
  • le 107 testate quotidiane hanno venduto una media leggermente inferiore ai 6 milioni di copie; siamo sempre al terz’ultimo posto in Europa
  • la diffusione dei settimanali è calata, mentre quella dei mensili è cresciuta
  • rilevante l’aumento degli investimenti pubblicitari; la parte del leone l’ha fatta, come accade da anni, la televisione, rispetto alla stampa
  • in ascesa anche gli introiti pubblicitari della radio
Nel campo della comunicazione elettronica, il 1999 ha visto l’aumento del possesso di personal computer e di collegamenti Internet. Cifre inferiori alle medie europee, ma in crescita esponenziale. Per la stampa quotidiana l’aspetto più preoccupante è il distacco dei giovani. Aumenta inoltre la disparità fra le regioni del Nord e quelle del Sud. Contro la scarsità della diffusione, cronica nel nostro Paese, editori e giornalisti ricorrono più o meno alle stesse ricette degli anni 90; nei quotidiani più forti abbiamo:
  • sia il gigantismo, con i supplementi in rotocalco, con gli inserti specializzati (prevale l’economia) e con quelli promozionali gratuiti
  • sia la ricchezza di firme, con frequenti commenti a eventi e fatti sociali e di costume
Al sensazionalismo, alla visibilità con la titolazione grande e l’impiego del colore, è stata aggiunta la ricerca di spigliatezza quotidiana: non soltanto con la vignetta satirica, ma con brevi interventi destinati a vivacizzare il giornale con argomenti leggeri, frivoli e persino con dei pettegolezzi. Comunque il livello di credibilità della stampa tra i lettori resta basso. Nei telegiornali delle reti nazionali si notano una maggiore evidenza data alle notizie di cronaca nera e varia e a quelle sportive rispetto alle informazioni politiche e un uso più frequente delle interviste veloci. Nella stampa quotidiana locale si cerca di realizzare un’abbondanza di notizie anche minime, che è un’operazione impossibile per le piccole televisioni a causa dei costi. E i giornali di aspetto non più antiquato. Anche per questo prevale il formato tabloid. Comunque lo stile del giornalismo italiano dei media tradizionali resta in prevalenza quello impressionistico rispetto a quello fattuale, tipico del giornali di stampa anglosassone. Continua a mancare o a difettare la cultura professionale del controllo e dell’indagine. È cambiato il rapporto tra l’informazione e la politica. Resta un rapporto più stretto e diretto che nei paesi di antica tradizione democratica, ma non è più quello esercitato in presenza dei grandi partiti ora scomparsi. In una fase caratterizzata da instabilità politica e dallo scontro di coalizioni non sempre coese e persino conflittuali, questo rapporto si è in un certo senso individualizzato e spezzettato in clan. Vanno bene i conti delle maggiori imprese: nonostante i risultati brillanti riguardino poche imprese, non si può affermare che la stampa quotidiana sia in crisi nelle proporzioni quasi generali come accadde nel decennio 70. Nel 1999 il primato è rimasto al Corriere della sera, seguito da:
  1. la Repubblica
  2. la Gazzetta dello Sport
  3. Il Sole-24Ore
  4. La Stampa
Queste 5 testate assommano la metà della diffusione globale giornaliera dei quotidiani. Le cifre di ciascuna testata ondeggiano a seconda dell’accoglienza riservata alle periodiche offerte promozionali oppure a causa degli accoppiamenti con piccoli giornali locali. Alcune di queste testate appartengono a società che pubblicano altri quotidiani o dei periodici e che sono entrate nella comunicazione elettronica. Il caso più rilevante è quello del Gruppo Espresso che pubblica, oltre al newsmagazine con lo stesso nome e a Repubblica, una catena di 12 quotidiani locali, gestisce 3 emittenti radiofoniche ed un portale di accesso in rete che si chiama Kataweb. Non sono da meno economicamente il Gruppo Rcs, con il Corriere della sera, Gazzetta dello Sport, 24 periodici, i libri ed un settore Multimedialità che coordina anche Rcs Web; e la Mondadori, priva di quotidiani, ma ricca di periodici e con il primato della produzione libraria. Appartiene a Silvio Berlusconi e perciò i suoi periodici sono affini alle 3 reti televisive Mediaset. Finanziariamente va bene anche il Gruppo Riffeser: comprende 3 quotidiani, il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno, che, sfruttando le tecnologie avanzate, escono con lo stesso fascicolo nazionale. Le crisi finanziarie più gravi le subiscono Il Tempo e l’Unità. I piccoli giornali di opinione e di partito, come Il Foglio e il manifesto, navigano finanziariamente con difficoltà e si sostengono con sovvenzioni pubbliche. Queste sovvenzioni sono contrarie alle direttive dell’Unione europea e quindi prima o poi dovranno cessare o cambiare strada. Alcune appaiono molto discutibili anche per i sostenitori della necessità di un forte pluralismo di voci giornalistiche. La riduzione dei costi di produzione dovuta allo sviluppo tecnologico ha consentito la pubblicazione di piccoli quotidiani locali a diffusione limitata in mercati circoscritti. Le tecnologie permettono anche la diffusione di piccoli tabloid quotidiani gratuiti; gli introiti sono unicamente quelli della pubblicità. La vera novità degli ultimi anni viene dalla comunicazione elettronica e dalla svolta digitale:
  • Internet
  • il giornale on line
(fra non molto)
  • la televisione interattiva
  • il collegamenti fra i teleschermi
Il primo tratto di questo processo è stato la riproduzione dei giornali sullo schermo del computer. Nel nostro Paese l’avvio risale all’inizio degli anni 90. Fin dall’inizio si sono visti i vantaggi rappresentati da Internet rispetto al tradizionale foglio stampato:
  1. tempestività
  2. possibilità di aggiornamenti continui
  3. coinvolgimento e partecipazione del lettore
  4. multimedialità
Dalla riproduzione pura e semplice delle pagine dei quotidiani si è passati, nelle maggiori imprese, ad un’elaborazione e diffusione di servizi giornalistici e di informazioni di servizio accoppiando a queste iniziative l’offerta di spazi pubblicitari. Le pagine che questi giornalisti creano e curano sono composte di notizie, titoli, immagini, rubriche e dibattiti con l’uso costante del colore. I forum di argomento politico e sociale, nei quali il protagonista è persona di riconosciuta importanza o notorietà, registrano moltissimi contatti. Le società delle telecomunicazioni e di Internet sono i portabandiera della 'nuova economia'. L’informazione di politica interna, fatta eccezione per le competizioni elettorali, raccoglie pochi contatti. Il linguaggio del Web, asciutto e pratico, esclude i cosiddetti 'teatrini' e il chiacchiericcio del mondo politico italiano. Queste prime prove su vasta scala dimostrano che gli editori non possono rimanere legati soltanto alla carta e all’etere. E pongono problemi non rimandabili agli organismi della categoria giornalistica:
  • sia al sindacato perché il contratto di lavoro, già invecchiato da tempo, è da rifare in buona parte
  • sia all’Ordine professionale perché la sua essenza corporativa è sempre più avvertibile (e può diventare un ostacolo) e l’esigenza di correttezza cresce
Internet non è un medium che si sovrappone in collegamento ai media esistenti, come è accaduto finora nella storia dei mezzi di comunicazione. Il Web è una tecnologia di comunicazione completamente nuova.
  • questa caratteristica
  • la potenzialità
  • le straordinarie possibilità informative e di comunicazione interpersonale e di gruppi
  • la facilità di accesso
  • l’attrazione che esercita fra i giovani
sono all’origine del grande quesito di questi anni: il quotidiano stampato sopravviverà?? Se la risposta è affermativa, e tale è quella che si può dare in Italia, occorre porsi una nuova domanda: quale tipo di quotidiano sopravviverà?? È perciò prevedibile che nel giro di pochi anni la mappa dei media tradizionali dei paesi sviluppati subirà cambiamenti inimmaginabili fino a poco tempo fa. Quel che è certo fin da oggi è che ai giornalisti particolari che i media dell’etere e la scomposizione dei prodotti di carta stampata hanno creato, se ne sta aggiungendo uno nuovo che si sviluppa in un contesto e con uno strumento diversi. Con conseguenze sul linguaggio, che cambia notevolmente, sul processo e i criteri di 'notiziabilità' e sulla scelta degli argomenti. E sul ruolo stesso del giornalista. Inoltre, l’interattività che contraddistingue l’informazione su Internet, che permette a chiunque di diffondere on line quello che vuole perché l’accesso è facile e i costi sono bassi, allarga la competizione a tutto campo. Non soltanto alle testate giornalistiche registrate ma anche a tutti quei siti di informazione che praticano un’intermediazione di natura giornalistica. Un sito Web può facilmente assumere la forma di un giornale elettronico senza che gli operatori siano obbligati a possedere la tessera dell’Ordine. Sono 2 casi americani significativi
Amazon (grande centro commerciale elettronico Drudge Report (sito specializzato nelle inchieste)
che, oltre a vendere libri, li recensisce e pubblica
le recensioni dei lettori-utenti)
In sostanza, la grande novità è il carattere libertario intrinseco della Rete che permette a nuovi attori di coesistere con i colossi dell’informazione e della comunicazione. E tentare di sfidarli. Gli attori possono partire da zero o quasi e sperimentare strade molto particolari. Internet presenta un’altra caratteristica di particolare importanza: il prodotto giornalistico on line vive esclusivamente di pubblicità ma, a differenza dei programmi televisivi, essa è integrata in contemporanea nella pagina Web. Così uno dei problemi fondamentali per la genuinità dell’informazione, il distacco dal potere pubblicitario, si presenta in termini complicati. Anche per questo motivo crescono le responsabilità di coloro che devono mediare tra i fatti, le fonti e i destinatari dell’informazione.

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